Pnrr ricerca, spesi meno della metà dei fondi: Calabria fanalino di coda
Solo il 44% degli 8,5 miliardi destinati all’innovazione risulta utilizzato. Il Sud resta indietro ma cresce il numero di ricercatori giovani e donne
				A due anni e mezzo dall’avvio del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, la ricerca e l’innovazione italiane hanno speso meno della metà delle risorse stanziate. Dei complessivi 8,5 miliardi di euro destinati al trasferimento tecnologico tra università, centri di ricerca e imprese, soltanto il 44% risulta effettivamente utilizzato tra il 9 novembre 2022 e il 20 maggio 2025. È quanto emerge dalla quinta edizione della Relazione sulla ricerca e l’innovazione in Italia, presentata a Roma e realizzata dal Consiglio Nazionale delle Ricerche con il contributo dell’Area Studi Mediobanca.
Ricerca e innovazione tra personale e transizione digitale
La maggior parte dei fondi, pari al 60% delle somme già spese, è stata impiegata per il reclutamento di nuovo personale: oltre 12mila ricercatori sono stati assunti, di cui il 47% donne. Il settore che ha beneficiato maggiormente dei finanziamenti è quello della transizione digitale e dell’aerospazio, che da solo rappresenta il 30,3% del totale delle risorse, seguito dal comparto del clima e dell’energia con il 20,6%.
Il processo di rendicontazione delle spese si concluderà entro il 31 dicembre 2026, motivo per cui gli esperti del Cnr considerano fisiologico che una quota rilevante degli investimenti venga registrata solo nel tratto finale del piano. Nonostante i ritardi, il comparto della ricerca rimane tra i più efficienti nel garantire l’impegno effettivo dei fondi assegnati.
Divario territoriale: il Sud resta indietro
La Relazione mette però in evidenza una forte disuguaglianza tra Nord e Sud del Paese. Nelle regioni centro-settentrionali è stata rendicontata una spesa pari al 68,7%, mentre nel Mezzogiorno la percentuale scende drasticamente al 31,3%.
Un segnale positivo arriva tuttavia dal tasso di nuove assunzioni rispetto al totale dei ricercatori: il Sud registra una crescita media del 4,1%, con un picco del 5,6% nelle isole, contro il 2% del Nord e il 2,5% del Centro. Ciò dimostra che, pur tra difficoltà strutturali, gli investimenti hanno contribuito a ridurre almeno in parte il divario territoriale.
Calabria e Basilicata in fondo alla classifica
La Calabria, insieme alla Basilicata, figura tra le regioni con il numero più basso di iniziative attive: soltanto una. Al contrario, la Sicilia è la più dinamica con dodici progetti, seguita da Campania, Lazio e Lombardia con nove ciascuna. Marche, Molise, Umbria e Valle d’Aosta risultano ancora ferme, senza alcun progetto avviato.
Oltre alle nuove assunzioni, parte dei finanziamenti è stata destinata ai cosiddetti “bandi a cascata”, finalizzati a distribuire fondi alle imprese innovative. Ne sono stati pubblicati 424 per un valore complessivo di circa 822 milioni di euro.
Il nodo della sostenibilità futura
Il documento del Cnr lancia un allarme sul futuro di queste politiche: gran parte delle assunzioni effettuate è a tempo determinato e non esistono, al momento, strumenti strutturali per garantire la continuità occupazionale una volta concluso il Pnrr.
Senza nuove misure di accompagnamento, il rischio è che i risultati raggiunti – in termini di competenze, innovazione e capitale umano – si disperdano rapidamente, compromettendo il potenziale di rilancio che la ricerca italiana, e soprattutto quella meridionale, aveva appena iniziato a costruire.