Una birra ancora più gustosa è stata ottenuta introducendo una singola mutazione genetica che permette al lievito di conservare la sua capacità di produrre aromi anche alle alte pressioni di anidride carbonica (CO2) che si sviluppano durante la fermentazione nei serbatoi chiusi usati nella produzione industriale.

Il risultato è pubblicato sulla rivista Applied and Environmental Microbiology dai microbiologi dell'Università Cattolica di Lovanio in Belgio.

Per secoli la birra è stata prodotta in tini aperti, ma negli anni Settanta l'industria è passata all'utilizzo di grandi serbatoi chiusi, che sono molto più facili da riempire, svuotare e pulire, consentendo una maggiore produzione a costi più bassi. All'interno di questi contenitori, però, l'accumulo di CO2 prodotta durante la fermentazione finisce per penalizzare il lievito e la sua capacità di produrre aromi, attraverso un meccanismo ancora non del tutto chiaro.

Per superare questo problema, i ricercatori hanno confrontato diversi ceppi di lievito Saccharomyces cerevisiae in modo da identificare quelli più resistenti alle alte pressioni di CO2, focalizzandosi in particolare sulla loro capacità di produrre un aroma fruttato di banana, molto importante per la birra così come per altri alcolici.

Dopo aver individuato un ceppo di lievito particolarmente resistente alla CO2, ne hanno sequenziato il genoma per cercare di scoprire il suo segreto. "Con nostra grande sorpresa - spiega il biologo molecolare Johan Thevelein - abbiamo identificato una singola mutazione nel gene MDS3, che codifica per un regolatore apparentemente coinvolto nella produzione di acetato di isoamile, la fonte dell’aroma di banana che era responsabile della tolleranza alla pressione in questo specifico ceppo di lievito".

I ricercatori hanno dunque utilizzato la tecnica Crispr-Cas9 che 'taglia e cuce' il Dna per introdurre questa mutazione anche in altri ceppi di lievito, riuscendo a migliorare la loro tolleranza all'anidride carbonica e di conseguenza la produzione di aroma.