I rilievi della Scientifica dopo l'omicidio
I rilievi della Scientifica dopo l'omicidio

La sera del 16 febbraio 2011, nel comune di San Lorenzo del Vallo (Cs), due donne – Rosellina Indrieri, 45 anni, e sua figlia Barbara De Marco, 26 anni – furono brutalmente assassinate in casa da un commando armato. L'azione rientrava in una spirale di vendetta: il precedente omicidio di Domenico Presta, figlio del boss Franco Presta al'epoca latitante, aveva innescato la reazione violenta del clan, con l'obiettivo di colpire l'intera famiglia percepita come responsabile dell'affronto.

L’agguato e la testimonianza decisiva

I sicari, probabilmente tre, irruppero sparando intensamente. Rosellina fu colpita all'interno dell'abitazione, mentre Barbara fu raggiunta sul balcone, dove cercava disperatamente di fuggire. Ferito nel corso dell’agguato, Silas De Marco si finse morto e riuscì a sopravvivere, riportando gravi ferite alla spalla e al bacino. Anche il padre, Gaetano De Marco, si salvò perché dormiva in un’altra stanza, e non fu visto dai killer.

Indagini, condanne e conferme

Grazie alla coraggiosa testimonianza di Silas, furono individuati i due killer materiali, Domenico Scarola e Francesco Salvatore Scorza, entrambi collegati al clan ‘ndranghetista di zona. Furono condannati all’ergastolo, pena confermata dalla Corte d’Appello e successivamente dalla Corte di Cassazione nel 2017. Le indagini rivelarono l’utilizzo di almeno quattro armi: due fucili calibro 12, una pistola calibro 45 e una mitraglietta 9mm.

La vendetta continua: la morte del padre

Il dramma non si fermò qui. Il 7 aprile 2011, Gaetano De Marco, sopravvissuto al primo agguato, venne ucciso mentre viaggiava in auto nei pressi di Spezzano Albanese. L’omicidio venne interpretato dagli inquirenti come una prosecuzione della stessa vendetta.

Un paese sotto choc

San Lorenzo del Vallo, piccolo centro della Valle dell’Esaro, venne scosso dalle modalità cruente di questi delitti. L’impatto emotivo fu profondo, e l’immagine di Barbara colpita mentre cercava di salvarsi dal balcone rimase impigliata nella memoria collettiva, simbolo dell’assurdità e della ferocia della violenza mafiosa.

Il valore della testimonianza

La svolta nelle indagini fu la denuncia del giovane Silas, che decise di collaborare e fornì dettagli determinanti per smascherare i responsabili. La sua testimonianza è stata definita “chiave” nel processo e ha permesso di superare l’omertà che aveva spesso protetto la faida.