E' stato chiesto alla dott.ssa Amalia Bruni di rispondere ad alcuni quesisti che sorgono spontanei considerando lo stato attuale dell’Italia e in particolare della Calabria in ambito sanitario e di salute dei cittadini, in qualità di componente del Consiglio Superiore di Sanità e del Comitato scientifico dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) che orienta “le politiche sanitarie sulla base di evidenze scientifiche”,

In primis, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per la sanità, descritto in parte dal DM 71 del 23/02/2022 “Modelli e standard per lo sviluppo dell’Assistenza Territoriale nel Servizio Sanitario Nazionale”, dichiara la necessità di un cambiamento culturale sanitario con il passaggio dalla medicina d’attesa alla medicina d’iniziativa. Le malattie cronico degenerative non trasmissibili (CNCD), tra cui l’obesità, le malattie cardiache, diabete, malattie neurodegenerative, malattie respiratorie croniche, cancro, sono le cause più frequenti di disabilità prolungata e morte.

Se le terapie farmacologiche, dietetiche e chirurgiche possono ridurre la mortalità prematura e aumentare le aspettative di vita, si osserva un aumento della disabilità prolungata, portando a gravi oneri socio-economici. A questo si aggiunge l'onere della multimorbidità, ovvero la coesistenza di 2 o più malattie croniche.

In Italia le malattie croniche sono in crescita: nel 2017 il 39,1% dei residenti in Italia ha da almeno una malattia o condizioni croniche. Le patologie cronico-degenerative sono più frequenti nelle fasce di età più adulte: già nella classe 55-59 anni ne soffre il 53,0%, e tra le persone ultrasettantacinquenni la quota raggiunge l’85,3%.

Ai decessi per CNCD vanno aggiunte le morti per patologie trasmissibili. A seguito del COVID-19, in Italia, proprio secondo l’ISS al 13 Marzo 2020, le patologie osservate fra i pazienti deceduti per coronavirus erano spesso plurime.

Al fronte di questi dati, la proiezione al 2060 vede: 7.805.122 morti per malattie infettive e 52.461.236 morti per malattie non trasmissibili.
Di fatto, con la pandemia abbiamo assistito all’azzeramento di tutti gli sforzi adoperati finora per la medicina d’iniziativa con la riproposizione violenta di una medicina d’attesa. Dal 2012 al 2020 la spesa Sanitaria per il Sistema Nazionale è cresciuta del 12% da 110,400 € mld a 123,459 € mld.

Nel 2020 a fronte di un aumento della spesa sanitaria Nazionale si è osservata una riduzione sensibile del out of pocket -11,6%, da 34 € mld a 30, 37 € mld, una riduzione del Ticket ed una riduzione dell’acquisto sui farmaci per la cronicità. In Italia dal 2010 al 2019, la spesa sanitaria Statale è cresciuta gradualmente e periodicamente sono state varate manovre economica per introdurre dei fondi integrativi utili a far fronte a diverse situazioni di grave disagio o emergenza.

La spesa sanitaria nel 2021 è stata circa di 127.138 milioni, un ulteriore crescita del 3% rispetto all’anno precedente sempre a causa della pandemia. Nella realtà in questo ultimo decennio si è configurato un de finanziamento, infatti, la spesa sanitaria è cresciuta annualmente di medie dello 0,9% mentre l’inflazione del 1,07%. Ne consegue che il potere d’acquisto e la possibilità di impiego di risorse da parte del SSN è andato a diminuire sempre di più tempo a fronte di una crescita del settore privato.

Un caso emblematico del ritardo diagnostico, dell’assenza di prevenzione, dell’uso inappropriato dei servizi e di un modello di cura d’attesa generante un accumulo di malati ed una spesa sanitaria insostenibile è il diabete di tipo II.

In Italia nel 2030, è previsto un incremento della prevalenza del DMII del 4%, che in Calabria si traduce in almeno 230.000 pazienti diabetici con un costo di almeno 1,5 miliardi di euro. Il gravoso impegno economico e sociale derivante del diabete si aggiunge a quello delle altre patologie cronico degenerative come i Tumori, le malattie ginecologiche, ortopediche e la chirurgia generale che oltre a pesare sul SSR direttamente, generano una mobilità extraregionale di oltre 220 milioni di euro.

Lo spreco economico e di risorse dovuto all’uso inappropriato della maggior parte dei servizi è chiaro segno del ritardo diagnostico, assistenziale e terapeutico per il DMII e le altre patologie cronico degenerative. La necessità di differenziare e contestualizzare le strategie di intervento, e quindi i percorsi assistenziali, sulla base dei differenti bisogni, risulta dirimente alla luce delle evoluzioni sociali ed epidemiologiche del Paese.

La domanda che sorge è:

Negli ultimi cinque anni, quali provvedimenti sono stati presi dall’ISS o sono in programmazione in materia di prevenzione e cura delle malattie trasmissibili e cronico-degenerative e per la sostenibilità della spesa sanitaria?

Secondo il Cnel, il risultato più drammatico del Covid è l’accentuazione del divario Nord-Sud nella speranza di vita che, mentre a livello nazionale continua ad essere la seconda più alta d’Europa, presenta difformità significative tra le città di Milano e Napoli fino a 3 anni, che aumentano a 10 se si considerano le fasce sociali più povere del Mezzogiorno e quelle più ricche dell’Italia settentrionale. Una tendenza che la pandemia ha solo accelerato: la spesa sanitaria pubblica pro capite, del resto, pari nella media nazionale a 1.838 euro annui, è molto più elevata al Nord rispetto al Sud (2.255 euro a Bolzano e 1.725 euro in Calabria).

Quali sono le strategie di soluzione proposte dall’ISS e adottate per il superamento delle disuguaglianze in Sanità tra le Regioni del Nord, Centro e Sud?

In un’ottica di programmazione sanitaria è necessario rispondere nel modo più sostenibile alle urgenze, dipendenti in primis dalla carenza dei medici sul territorio nazionale.
Nel 2015 la Federazione Nazionale dei medici e degli odontoiatri (Fnomceo) lanciava l’allarme sul futuro dei medici, dichiarando che con 8500 nuovi camici bianchi all’anno si rischiava di appendere la laurea al chiodo.

Lei condivide la previsione errata del Fnomceo?

Oggi a peggiorare la situazione sanitaria si aggiunge la carenza di medici, in Calabria come in tutta Italia, con 10 mila medici che andranno in quiescenza tra il 2022 e il 2024. A impoverire le corsie si aggiunge il fenomeno della fuga dagli ospedali pubblici. Tra il 2019 e il 2021, secondo quanto emerso da un recente studio Anaao, 9 mila medici hanno abbandonato l’ospedale per dimissioni volontarie. Entro il 2024, quindi, tra pensionamenti e licenziamenti, sono previsti 40mila medici in meno nel Servizio sanitario nazionale (Ssn). Risultano fondamentali le assunzioni di specialisti e degli specializzandi, che solo dal terzo anno possono essere operativi in ospedale.