Eugenio Facciolla

Dopo sette lunghi anni di processo, il procuratore Eugenio Facciolla è stato assolto con formula piena: “perché il fatto non sussiste” e “per non aver commesso il fatto”. Le accuse di corruzione e falso che avevano travolto la sua carriera e la sua vita personale sono state definitivamente smentite dalla giustizia. Una sentenza limpida, inequivocabile, che restituisce dignità al magistrato, ma non cancella le ferite inflitte da un processo che, secondo molti, non sarebbe mai dovuto esistere.

A intervenire con una nota pubblica è il consigliere regionale Antonello Talerico, che definisce la vicenda “una delle tante ferite aperte del nostro sistema giudiziario”. “Ci sono vicende che, anche quando si concludono nel migliore dei modi giudiziari, non restituiscono ciò che hanno tolto: la serenità, l'onore, la dignità di un uomo”, afferma Talerico.

Nel corso degli anni, Facciolla è stato trasferito, isolato, umiliato, vittima – secondo Talerico – di una dinamica perversa che attraversa la magistratura: “I processi contro magistrati stanno diventando strumenti di lotta interna tra correnti, colpi bassi travestiti da moralismi, regolamenti di conti mascherati da ‘trasparenza’. Facciolla ha forse pagato proprio questa sua libertà, la sua indipendenza in territori difficili”.

Talerico non risparmia critiche al sistema, sottolineando come le inchieste facciano “rumore all’inizio e silenzio alla fine”. “Le prime pagine sono per gli avvisi di garanzia, non per le assoluzioni”, osserva. E mentre oggi la verità giudiziaria emerge in tutta la sua chiarezza, resta il dubbio amaro: “Chi ripaga il tempo perduto? Chi ripara un’ingiustizia silenziosa ma devastante?”

Secondo il consigliere regionale, la vicenda di Facciolla va oltre la persona e tocca il cuore stesso del principio di Stato di diritto. “Difendere oggi Eugenio Facciolla non è un atto di solidarietà personale, è un dovere istituzionale. Perché se passa l'idea che basta un'indagine per annientare la credibilità di un magistrato, allora la giustizia diventa un'arma e non una garanzia”.

Con l’assoluzione di Facciolla si chiude formalmente un processo, ma si apre una riflessione profonda sullo stato della giustizia e sul prezzo che può pagare chi osa “toccare tasti delicati” o si muove fuori dagli equilibri delle correnti interne. “Tocca alla politica, alla stampa e alla società non distogliere lo sguardo”, conclude Talerico. “Perché, in una democrazia sana, la verità non può arrivare troppo tardi”.