Processo Mazzotti, chiesto l’ergastolo per i tre imputati: "Cristina fu sepolta viva in condizioni disumane"
Dopo quasi sette ore di requisitoria, il PM Cecilia Vassena ricostruisce il primo sequestro di una donna da parte della 'ndrangheta

Una lunga e intensa requisitoria, durata quasi sette ore, ha riportato alla luce uno dei casi più agghiaccianti della storia criminale italiana: il rapimento e l’omicidio di Cristina Mazzotti, 18 anni, avvenuti nell’estate del 1975. La giovane fu sequestrata il 30 giugno fuori dalla casa di famiglia a Eupilio, in provincia di Como, e ritrovata morta oltre due mesi dopo, il primo settembre, in una discarica a Galliate (Novara). Per quel delitto, considerato il primo sequestro di persona ai danni di una donna da parte della 'ndrangheta, il pubblico ministero Cecilia Vassena ha chiesto l’ergastolo per i tre imputati del processo bis in corso al tribunale di Como.
Tre imputati alla sbarra: un cold case riaperto dopo decenni
A essere accusati di aver partecipato attivamente al sequestro e alla detenzione di Cristina sono Giuseppe Calabrò, 74 anni, noto come "u’ duttiricchiu", residente a Bovalino ma originario di San Luca; Antonio Talia, 73 anni, nato ad Africo; e Demetrio Latella, 71 anni, detto "Luciano", residente nel Novarese. La riapertura del caso si deve a nuove evidenze, come l’identificazione di un’impronta digitale di Latella sulla carrozzeria della Mini sulla quale la ragazza viaggiava la sera del rapimento, associata al suo nome solo nel 2006 grazie al sistema Afis. Latella, secondo quanto riferito dal magistrato, avrebbe anche ammesso la propria partecipazione al sequestro in due diverse occasioni, davanti ai magistrati di Torino e Milano.
Prigionia disumana e legami con i pentiti: il racconto agghiacciante
Durante la requisitoria, il PM Vassena ha ricostruito nel dettaglio le condizioni disumane in cui Cristina fu tenuta prigioniera: "Una buca sotto un garage, troppo bassa per stare in piedi, ventilata solo da un tubo stretto", ha detto con evidente emozione. A supportare l'accusa anche le testimonianze degli amici della vittima, Emanuela Lovisari e Carlo Galli, che hanno riconosciuto in aula Giuseppe Calabrò come uno dei componenti della banda. Per Antonio Talia, invece, è stata decisiva la testimonianza del pentito Angelo Epaminonda, che lo identificò come il "manovale" incaricato di prelevare la ragazza e raccontò che Talia stesso gli confidò di aver seppellito in Calabria il denaro ottenuto dal riscatto. La prossima udienza, con le arringhe della difesa, è fissata per il 10 settembre. Poi, la sentenza.