Domenico Cannata
Domenico Cannata

Domenico Cannata incarna la figura dell’imprenditore calabrese che, al costo della vita, non si piegò alla mafia. Il suo omicidio rappresenta una ferita aperta nella storia dello Stato che ancora non ha completato il percorso di giustizia. Quel 16 aprile resta, per la famiglia e la comunità, un triste monito della difficoltà di opporsi a mafie potenti e silenti.

Chi era Domenico Cannata

Domenico Cannata nacque il 15 gennaio 1925 a Polistena (Rc). Di formazione elettricista, avviò poi una solida attività di lavorazione del marmo, partecipando a opere significative come la realizzazione dell’altare nella chiesa locale. Sposato con Concetta, era padre di quattro figli: Teresa, Marino, Francesco ed Espedito.

Il rifiuto e le minacce

Cannata visse il dramma, come molti imprenditori onesti del Sud, di fronte alle pressioni malavitose: sua moglie o suo suocero ricevettero lettere anonime contenenti richieste estorsive. Nonostante le intimidazioni, l’imprenditore rifiutò ostinatamente di pagare il pizzo.

L’attentato e la tragica morte

La notte del 16 aprile 1972, due cariche esplosive furono collocate nella sua abitazione di Polistena, in piazza della Repubblica. Il primo scoppio non bastò: una seconda esplosione travolse Cannata, rimasto sul luogo per verificare i danni. Ferito gravemente, morì alle 4:39 del mattino dopo il trasporto in ospedale.

Reazioni immediate e mancanza di giustizia

Il Comune di Polistena proclamò il lutto cittadino. Tuttavia, le indagini non portarono a risultati: nessuno è mai stato arrestato o condannato per l’omicidio. Solo nel 2005 lo Stato lo ha riconosciuto come vittima innocente della ‘ndrangheta, ma la famiglia continua a invocare una verità che tarda ad arrivare.

Il contesto storico: vittima di una mafia radicata

L’uccisione di Domenico rientra in un vasto contesto di oppressione mafiosa in Calabria negli anni ’70, quando molti imprenditori e cittadini onesti furono eliminati per essersi sottratti alla logica del pizzo.