Edifici in costruzione
Edifici in costruzione

Il dibattito sulla proposta di un quarto condono edilizio, emersa nel contesto della discussione sulla Legge di Bilancio 2026, si presenta come un tentativo di soluzione emergenziale per regolarizzare l'abusivismo edilizio, ma un’analisi strategica e disincantata rivela che la proposta rischia di essere un mero "rumore" che distoglie l'attenzione dai veri problemi strutturali del settore. I fautori di una nuova sanatoria fanno leva su argomenti come la necessità di chiudere situazioni rimaste sospese, soprattutto in quelle aree dove le esperienze precedenti sono state limitate, e sulla possibilità di generare un gettito fiscale immediato per le casse pubbliche attraverso l'incasso delle oblazioni. Si tratta, tuttavia, di benefici effimeri e superficiali se confrontati con i costi sistemici e i rischi amministrativi che un tale provvedimento innescherebbe.

Un’eredità amministrativa già al collasso

Il problema principale non è l'abuso in sé, quanto piuttosto l'arretrato insostenibile lasciato dai tre condoni precedenti (1985, 1994, 2003). Con una quantità non ben identificata di istanze ancora pendenti, gli uffici tecnici comunali sono già al collasso. In questo scenario, aggiungere una nuova ondata massiccia di domande significherebbe condannare la macchina amministrativa a una congestione paralizzante. I condoni si trasformerebbero nell'ennesimo "parcheggio eterno" di pratiche ingestibili, prolungando indefinitamente i procedimenti e sottraendo personale e risorse preziose alle attività ordinarie, quali il controllo del territorio, la pianificazione urbanistica e la gestione dei titoli edilizi correnti. Questo contrasta in modo netto con i principi di efficienza, economicità ed efficacia richiesti dalla Legge sul procedimento amministrativo.

Il rischio culturale di una legalità negoziata

Oltre al rischio operativo, vi è un rischio culturale estremamente significativo. La periodicità con cui si ricorre a sanatorie straordinarie veicola un messaggio distorto alla cittadinanza e agli operatori del settore. Ogni nuovo condono rafforza l'aspettativa implicita che "prima o poi una finestra si riapre", trasformando il rispetto delle regole in una scelta meno "razionale" rispetto alla scommessa sull'abuso e sulla successiva regolarizzazione. Ciò indebolisce la legalità urbanistica e conferma, nei fatti, il fallimento degli strumenti ordinari – accertamenti di conformità, controlli e repressione – nel governare il fenomeno. Si interviene a valle, sull'effetto, anziché a monte, sulle cause.

Un’illusione economica che non rigenera il territorio

Infine, è fondamentale riconoscere che un condono non è una politica di sviluppo o un piano di rigenerazione. Si limita ad accettare lo status quo, purché rientri nei requisiti stabiliti, senza affrontare le criticità strutturali più profonde del patrimonio immobiliare italiano. Non introduce piani organici di riqualificazione, non interviene sulla messa in sicurezza antisismica, né risolve la necessità di adeguamento energetico o la carenza di standard urbanistici essenziali (servizi, parcheggi, spazi pubblici). È l'illusione di sistemare tutto e "fare cassa", mentre l'esperienza dimostra che l'effetto strutturale sul patrimonio è sempre stato inferiore alle aspettative, a fronte di un effetto di congestione amministrativa pienamente raggiunto.

La vera alternativa: riformare, non sanare

Se l'obiettivo strategico è davvero quello di migliorare il patrimonio edilizio e l'efficienza del settore, la strada del quarto condono è una scorciatoia pericolosa e illusoria. La vera alternativa, l'unica in grado di produrre risultati duraturi, è agire sulle cause: smaltire l'arretrato dei condoni precedenti, rafforzare la capacità amministrativa attraverso assunzioni mirate, formazione e digitalizzazione degli archivi, e, soprattutto, portare a termine una riforma del Testo Unico dell'Edilizia che sia scritta da chi le norme le applica ogni giorno. Solo un impianto normativo stabile, chiaro e coerente può incentivare la riqualificazione e la rigenerazione urbana, ponendo fine alla logica emergenziale che ha finora dominato il settore. Questo approccio, pur essendo meno "spendibile" sul piano politico, è l'unico che garantisce stabilità e prevedibilità.