Omicidio di Andrea Bonforte, quindicenne ucciso nella faida di ‘ndrangheta a Catona
Il 2 gennaio 1990 un agguato davanti al forno di famiglia segna l’ennesimo dramma silenzioso della guerra tra clan nella provincia di Reggio Calabria
Era l’alba del 2 gennaio 1990, frazione marina di Catona, Reggio Calabria. Nel forno di famiglia, accanto al padre Giuseppe (50 anni) e al fratello Domenico (17 anni), il giovane Andrea Bonforte, 15 anni, stava iniziando la giornata lavorativa quando un commando armato li ha attesi dietro un muro, aprendo il fuoco con un mitra, un fucile calibro 12 e una pistola calibro 7,65. Bonforte ha perso la vita sul colpo.
Il contesto della guerra di ‘ndrangheta
L’omicidio di Andrea si inscriveva nella fase acuta della cosiddetta seconda guerra di ‘ndrangheta, uno scontro interno che causò numerose vittime innocenti nell’area reggina. Il ragazzo era vittima collaterale dell’agguato, probabilmente rivolto al fratello o al padre, ma la brutalità del gesto e la giovane età della vittima ne fanno un emblema della violenza mafiosa che colpisce i più indifesi.
Le conseguenze sociali e simboliche
La morte di Andrea Bonforte è diventata un simbolo storico della lotta alla criminalità organizzata in Calabria. Una giovane vita spezzata in un contesto di sopraffazione e terrore che segnava il quotidiano di molti comuni del Sud. Ogni anno la sua memoria viene ricordata come un appello a non dimenticare le vittime innocenti della ‘ndrangheta.
Il richiamo alla memoria e alla responsabilità collettiva
Pur a distanza di decenni, l’omicidio di Andrea invita a riflettere sull’importanza del contesto istituzionale, educativo e culturale nel contrasto alla violenza mafiosa. Non si tratta solo di processi penali e repressione, ma anche di costruire comunità resilienti, trasparenti e consapevoli del valore della vita. La sua storia ci ricorda che ogni vittima innocente è una ferita nella democrazia e nell’identità di un territorio.