Raffaella Scordo, il coraggio fatale di una professoressa contro la mafia
A 39 anni reagì a un tentativo di sequestro davanti a casa, morì dopo diciotto giorni di agonia

All’insegnante di scuola media Raffaella Scordo, 39 anni, venne tesa un’imboscata la notte tra il 12 e il 13 luglio 1990 nel giardino della sua casa ad Ardore Marina, in provincia di Reggio Calabria. Rientrava dopo una passeggiata con il marito e i due figli quando un commando tentò di rapirla. La donna reagì con forza, ma fu colpita con violenza — probabilmente con il calcio di una pistola o un martello — alla testa e alla nuca. Trasportata in ospedale in coma, morì il 31 luglio, senza mai aver ripreso conoscenza.
Una vita dedicata all’educazione e alla legalità
Raffaella era una figura molto stimata nel suo paese. Insegnava nella scuola media di Locri ed era conosciuta per la sua dedizione alla formazione dei giovani, ai valori di legalità e al rispetto reciproco. Per il Coordinamento Nazionale Docenti dei Diritti Umani, la sua figura resta un simbolo di coraggio e dedizione civile.
Il ricordo e la denuncia di una famiglia ferita
Il marito, Franco Polito, ricordò la profonda ferita subita non solo dalla dimensione personale, ma anche da una comunità trascurata: la Calabria. In quegli anni denunciò la lentezza degli interventi sanitari e l’assenza di strutture adeguate per casi di emergenza. Alla memoria di Raffaella si aggiunge il peso dell’assenza di tutele in una terra dove la criminalità organizzata agiva con impunità.
Una vittima come tante, in una terra difficile
Raffaella è inserita nell’elenco delle vittime innocenti della ’ndrangheta. La sua morte, violenta e gratuita, si unisce a una lunga lista che include donne, uomini e ragazzi uccisi per essersi opposti o semplicemente trovati nel posto sbagliato. La sua figura continua a evocare la necessità di un impegno civile che duri nel tempo.