L’omicidio di Vincenzo Reitano rappresenta il volto crudo della violenza mafiosa in Calabria
Il 29enne di Fiumara di Muro ucciso in ospedale l’11 aprile 1990 dopo aver subito un attentato
Era l’11 aprile 1990 quando Vincenzo Reitano, allora 29 anni, commerciante ambulante e consigliere comunale uscente di Fiumara di Muro, nella provincia di Reggio Calabria, trovò la morte mentre era ricoverato in ospedale a Reggio Calabria. Il giovane era già stato vittima di un attentato poche ore prima e aveva chiesto aiuto pubblicamente, temendo per la propria vita. L’agguato mortale avvenne nella stanza dell’ospedale: otto colpi calibro 7,65 lo raggiunsero mentre era debilitato e privo di difese, testimonianza della ferocia che accomuna gli omicidi di stampo mafioso.
Il contesto e le possibili motivazioni
La vicenda di Reitano si inserisce in un periodo in cui la provincia di Reggio Calabria era teatro di scontri interni alla ‘ndrangheta, regolati da logiche di potere, vendetta e controllo del territorio. Reitano era imparentato con membri di clan della zona e già due anni prima un parente stretto – il marito della sorella – era stato ucciso. La sua uccisione è stata indicata come effetto di una “vendetta trasversale”, ma la verità processuale non ha mai chiarito in modo definitivo gli esecutori e i mandanti dell’agguato.
Il fatto che l’omicidio si consumasse in un ospedale mette in luce la condizione di pericolosità costante in cui versavano anche i civili, restando privi di tutela in luoghi che dovrebbero essere sicuri.
Il significato simbolico e la memoria collettiva
L’uccisione di Vincenzo Reitano ha assunto nel tempo un valore simbolico che va oltre il singolo fatto di cronaca. Rappresenta la fragilità della vita civile in contesti dominati dalla criminalità organizzata, la vulnerabilità delle istituzioni locali e la difficoltà delle vittime innocenti di ottenere giustizia. Le figure come quella di Reitano testimoniano che la mafia colpisce anche chi vive, lavora, partecipa alla vita democratica del territorio.
Ricordare il suo nome e la sua storia significa affermare che le vittime innocenti non possono essere archiviate tra le statistiche, ma devono essere punto di partenza di una cultura della legalità e della responsabilità civica.
La sfida ancora aperta per la Calabria
A distanza di decenni, l’omicidio di Reitano richiama alla responsabilità collettiva: delle istituzioni, della società civile e delle nuove generazioni. Non basta commemorare le vittime della criminalità organizzata; è necessario attivare percorsi che rendano concreta la difesa dei diritti, la trasparenza, e un impegno costante contro le logiche di potere mafiose.
La Calabria, e in particolare le aree più colpite dalla ‘ndrangheta, richiedono non solo memoria ma azione. Ogni passo verso l’educazione, la partecipazione democratica, la tutela dei cittadini e lo sviluppo economico può contribuire a rendere più forte la risposta alla violenza organizzata.