Il “caso Macrì” a Soriano Calabro, il giovane studente ucciso per aver chiesto giustizia
Trent’anni fa la morte di Domenico, 20 anni, accoltellato durante una spedizione punitiva

Era il 30 agosto 1997, a Soriano Calabro (provincia di Vibo Valentia). Nel cuore della piazza centrale, durante una partita di calcetto in pubblico, venne colpito Domenico Macrì, studente universitario di appena vent’anni. L’agguato avvenne in un contesto affollato: tra gli spettatori, in mezzo alla gente, fu esploso il colpo micidiale quando Macrì osò chiedere la restituzione di un’auto rubata che apparteneva al padre, rivolta ai presunti ladri.
Domenico fu raggiunto da spari mentre era in mezzo alla folla. Venne colpito ad una gamba, alla testa e al torace, cadendo mortalmente ferito. Altri due ragazzi presenti vennero feriti nel conflitto di fuoco. La scena lasciò tutta la comunità sotto choc: un ragazzo che pretendeva un minimo di legalità paga con la vita il costo di un atto di coraggio.
Una vita stroncata da un messaggio criminale
Macrì era uno studente, un giovane come tanti, che soltanto perché ha rivendicato il diritto di vedere restituito un bene rubato, è finito col bersaglio di una spedizione punitiva. Non si trattò di una rapina o di un conflitto tra delinquenti: fu un vero messaggio intimidatorio, calibrato per punire e imposire paura.
La modalità, con colpi esplosi tra la folla, evoca un intento dimostrativo: colpire chi osa mettere in discussione impunità e silenzi. Domenico divenne vittima collaterale di una logica che non ammette resistenza.
L’indagine, le attenzioni e le revisioni del processo
Nel tempo le indagini su quel delitto hanno conosciuto momenti di tensione e richieste di revisione. Si è parlato di “Strage di Soriano”, richiamando la gravità dell’evento nel contesto cittadino.
Secondo alcune fonti, la Cassazione ha negato la revisione del processo per uno dei principali indagati, escludendo che emergessero elementi nuovi tali da rovesciare le decisioni già assunte. Ciò ha lasciato Macrì tra le vittime della mafia rimaste senza un responsabile definitivo.
I documenti indicano che i killer erano due o tre persone incappucciate, che spararono da distanza ravvicinata con freddezza e precisione, sapendo che tra loro si sarebbe dispersa ogni traccia in una folla sorpresa.
Una ferita che rimane aperta nella memoria collettiva
A distanza di decenni, l’omicidio di Domenico Macrì continua a inquietare e a interrogare la coscienza civile della Calabria. È uno dei casi emblematici di quando la criminalità colpisce chi non è parte del sistema mafioso, ma lo sfida con atti di diritto e dignità quotidiana.
Le commemorazioni, le testimonianze, le iniziative nelle scuole ricordano Domenico non come una vittima anonima ma come simbolo: simbolo di quel coraggio che chiede rispetto, giustizia e il ritorno di uno Stato che protegga chi osa interagire con la legalità.