La Calabria, a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, è stata teatro di politiche pubbliche che non hanno saputo tradursi in sviluppo reale e duraturo, consegnando alle generazioni successive un’eredità di opportunità mancate. Oggi questa eredità pesa soprattutto sulla popolazione giovane, che ha progressivamente abbandonato la regione in cerca di prospettive migliori altrove.

Un bilancio demografico drammatico
Negli ultimi vent’anni la Calabria ha registrato una delle più consistenti perdite di popolazione giovanile in Italia: oltre 162.000 giovani tra i 18 e i 34 anni hanno lasciato la regione, segnando un calo del 32,4% della popolazione in questa fascia d’età e posizionando la Calabria al primo posto per emigrazione giovanile interna nel Paese. 
Anche in periodi più recenti, tra il 2011 e il 2024, la regione ha visto un saldo migratorio negativo di 81.034 giovani nella stessa fascia di età, con oltre 62.670 trasferimenti verso altre regioni italiane e oltre 18.000 verso l’estero. 

Il valore economico della fuga dei talenti
La fuga dei giovani non è solo una questione sociale, ma anche economica. Secondo elaborazioni recenti, l’emigrazione dei talenti calabresi è costata circa 30,5 miliardi di euro in termini di capitale umano perso, una cifra pari a oltre tre quarti del prodotto interno lordo regionale. La perdita riguarda in particolare laureati: quasi la metà dei giovani che hanno lasciato la regione possedeva un titolo di istruzione superiore, sottolineando non solo la diminuzione della forza lavoro ma anche l’esodo delle competenze più qualificate. 

Le cause profonde: dalle politiche degli ’80 e ’90 alle dinamiche di oggi
Gran parte della politica pubblica calabrese degli anni Ottanta e Novanta è infatti ricordata per l’incapacità di trasformare ingenti risorse in sviluppo sostenibile. Studi economici sulle regioni italiane mostrano come, in presenza di tassi elevati di corruzione e di spesa pubblica poco efficiente, l’impatto degli investimenti sullo sviluppo economico sia fortemente ridotto: la spesa pubblica, anziché favorire crescita e modernizzazione, tende a disperdersi in attività non produttive. 
In questo contesto storico, gran parte delle risorse destinate alla Calabria nel corso del Novecento e nei primi anni di autonomia regionale non sono riuscite a generare processi di crescita durevoli, contribuendo alla stagnazione economica e alla scarsità di opportunità occupazionali per le nuove generazioni.

Una crisi demografica e sociale che si autoalimenta
Il fenomeno migratorio non è nuovo nella storia calabrese: fin dall’Ottocento la regione ha conosciuto importanti flussi di emigrazione. Tuttavia, mentre nel passato partivano soprattutto braccianti e lavoratori manuali, oggi la fuga riguarda laureati e giovani qualificati, con effetti profondamente diversi sul tessuto socio-economico locale.

La migrazione giovanile porta con sé un doppio svantaggio: impoverisce ulteriormente un territorio già fragile e alimenta una spirale di spopolamento e mancata innovazione. In un Mezzogiorno caratterizzato da livelli di reddito pro capite e occupazione inferiori al Centro-Nord, la perdita di capitale umano qualificato rende sempre più difficile invertire la rotta.

Una sfida che chiede risposte concrete
Oggi la Calabria si trova a fare i conti con il risultato di decenni di politiche inefficaci e di mancato sviluppo: una popolazione che invecchia, giovani che emiliano in massa, competenze che se ne vanno. Per restituire futuro a questa terra è necessario ripensare le politiche regionali, puntare su istruzione, lavoro qualificato, impresa e servizi moderni, e soprattutto creare un contesto in cui i giovani non siano costretti ad andar via per realizzare le proprie aspirazioni. Solo così la Calabria potrà invertire la tendenza e ricostruire il tessuto sociale ed economico che merita.