Giuseppe Manfreda
Giuseppe Manfreda

La vicenda di Giuseppe Manfreda resta una ferita aperta nella memoria di molte comunità calabresi. Muratore di 26 anni, padre di due neonati, Giuseppe è stato ucciso la notte tra il 24 e il 25 agosto 2000, in circostanze che – secondo gli inquirenti – fanno parte di dinamiche mafiose segnate dall’errore. Una vita spezzata ingiustamente, una famiglia travolta dal dolore e una società costretta a interrogarsi sulle responsabilità di chi impugna la mano armata nell’ombra.

Il contesto e la dinamica dell’agguato

Nella serata in cui avvenne l’omicidio, un commando armato aveva già tentato un attacco contro un esponente del crimine locale in pieno centro di Mesoraca. Il bersaglio fu colpito, ma non mortalmente. Qualche chilometro più avanti, quello stesso gruppo incrociò il veicolo guidato da Giuseppe Manfreda, con a bordo la moglie e i loro gemelli di appena due mesi.

I sicari aprirono il fuoco con armi da guerra, in particolare kalashnikov: il muratore fu colpito mortalmente, mentre l’auto finì fuori strada. La moglie sopravvisse, uno dei bambini riportò danni a un braccio, l’altro scampò all’aggressione senza ferite gravi. L’ipotesi che gli investigatori formulano è che l’auto fosse considerata un ostacolo alla fuga del commando, o che i sicari credessero di trovarsi davanti a un mezzo legato al loro bersaglio principale.

Questa drammatica circostanza porta a definire l’omicidio di Manfreda come omicidio collaterale, frutto di una dinamica di guerra criminale: non un obiettivo diretto, ma vittima di una decisione violenta presa in fuga.

Chi era Giuseppe Manfreda?

Giuseppe era un giovane muratore originario della zona di Petilia Policastro nel crotonese. Al momento dell’omicidio, viaggiava con la sua famiglia verso casa. Non aveva legami noti con attività criminali: la sua unica “colpa” fu trovarsi al posto sbagliato.

La figura di Manfreda è oggi iscritta nell’elenco delle vittime innocenti delle mafie, ossia quelle persone che sono finite nel mirino del crimine solo per caso o per errore, pur non avendo alcuna responsabilità nelle logiche criminali circostanti.

I responsabili e le indagini

Le indagini hanno dato un ruolo centrale alla cosca Ferrazzo, attiva nei Comuni di Mesoraca e Petilia Policastro. Quel territorio è da tempo oggetto di scontro di potere fra gruppi mafiosi con ramificazioni nel traffico di armi, droga e riciclaggio.

Negli anni successivi, diversi pentiti hanno attribuito direttamente all’omicidio di Manfreda la responsabilità di killer legati a Ferrazzo, sostenendo che l’assassinio si inserisse in una catena di eventi legati a scontri e divisioni interne alla criminalità locale. Recentemente, un ex affiliato al clan Ferrazzo è stato condannato per omicidi risalenti al 2000, fra cui quello di Manfreda, riconoscendo la matrice mafiosa dell’atto.

Tuttavia, restano zone d’ombra: chi diede l’ordine, quali furono i mandanti esterni, e quali logiche interne dettarono la scelta di colpire quel veicolo in quella notte.

Il peso simbolico e la memoria della comunità

L’uccisione di Giuseppe Manfreda ha un forte valore simbolico: mette in luce quanto la violenza mafiosa possa travolgere vite innocenti. In molti comuni calabresi si è iniziato a ricordarlo in cerimonie e iniziative antimafia, per non far cadere il suo nome nell’oblio.

La sua vicenda diventa monito: un uomo come tanti, posto davanti al crimine, si trasforma in simbolo della fragilità del vivere quotidiano in territori ad alto rischio. Custodire quella memoria significa coltivare – nelle istituzioni, nella scuola, nella società civile – la cultura della giustizia, della legalità e del rifiuto dell’omertà.