Da anni, l’acqua pubblica è al centro del dibattito politico.


Già otto anni fa, il 12 e il 13 giugno 2011, gli elettori italiani avevano votato a favore dell’abrogazione di due norme in materia, in due diversi quesiti referendari: uno contro la possibilità di privatizzare la gestione dei servizi idrici, l’altro su un aspetto più complesso, ossia la remunerazione per il capitale investito dal gestore del servizio idrico. Nonostante la vittoria dei “sì” in entrambi i quesiti, da allora poco è cambiatonella gestione dell’acqua pubblica.


Adesso il Programma di governo, pubblicato il 4 settembre 2019 da Movimento 5 stelle, Partito democratico e Liberi e Uguali, dice al punto 22 che «bisogna approvare subito una legge sull’acqua pubblica». Una proposta di legge sul tema – a prima firma di Federica Daga (M5s) – è ferma da tempo in commissione alla Camera.


Ma, ad oggi, come viene gestita l’acqua pubblica in Italia e nel resto d’Europa?



Come è gestita l’acqua in Italia


Nel nostro Paese le reti idriche sono di proprietà pubblica ed è vietata la loro vendita a soggetti privati, anche se la società acquirente avesse capitale interamente pubblico. Le reti idriche italiane sono di proprietà pubblica – come stabilito dall’art. 23 bis co. 5 del d.l. 112/2008 e ribadito dalla Corte Costituzionale con sentenza 320/2011 – ed è vietata la loro cessione a soggetti privati, anche se la società avesse capitale interamente pubblico. Ma, ancora in base all’art. 23 bis del d.l. 112/2008, «la loro gestione può essere affidata a soggetti privati». Vediamo dunque qual è la situazione dei gestori delle reti idriche italiane.



La gestione della rete idrica italiana


Utilitalia, la federazione che riunisce le aziende – pubbliche e private – operanti nei servizi pubblici dell’acqua, dell’ambiente, dell’energia elettrica e del gas, e che «rappresenta la quasi totalità degli operatori dei servizi idrici in Italia», fornisce i dati necessari. Questi provengono da un’elaborazione di Utilitalia dei dati contenuti nel Blue Book 2017, elaborato dalla fondazione Utilitatis con il contributo scientifico di Cassa Depositi e Prestiti. In un brochure di Utilitalia, per quanto riguarda la «distribuzione della popolazione nazionale per tipologia di gestore del servizio idrico», si leggono i seguenti dati: il 53% della popolazione residente in Italia riceve un servizio erogato da società interamente pubbliche, il 32% da società miste a maggioranza o controllo pubblico, il 12% direttamente dall’ente locale (c.d. gestione in house, possibile solo a determinate condizioni, tra cui il capitale interamente pubblico della società affidataria), il 2% da società private, l’1% da società miste a maggioranza o controllo privato.


In base al decreto-legge n. 112 del del 2008 (art. 23-bis, co. 5), la loro gestione può essere però affidata a soggetti privati. Secondo i dati di Utilitalia (la federazione che rappresenta la quasi totalità degli operatori dei servizi idrici in Italia), nel 2017 – dati più aggiornati – oltre la metà degli abitanti residenti nel nostro Paese (il 53 per cento) riceveva un servizio erogato da società interamente pubbliche. Poco più di tre italiani su 10 invece (il 32 per cento) lo riceveva da società miste a maggioranza o controllo pubblico, mentre un 12 per cento direttamente dall’ente locale (la cosiddetta “gestione in house, possibile solo a determinate condizioni, tra cui il capitale interamente pubblico della società affidataria). Del restante 3 per cento, un 2 per cento della popolazione italiana era servita da società private e l’ultimo 1 per cento da società miste a maggioranza o controllo privato.



E nel resto d’Europa?


Nell’Unione europea, il settore idrico è regolato a livello comunitario  da diverse normative – come la direttiva quadro sulle acque e quella sull’acqua potabile – che delineano un quadro comune europeo, la cui attuazione però poi cambia a seconda dei Paesi.


In sostanza, queste regole comunitarie stabiliscono gli standard di qualità minimi che devono essere garantiti in tutti i Paesi membri. Come raggiungere questi livelli è lasciato alla discrezionalità dei legislatori nazionali.


All’interno del quadro comune di regole europee, di conseguenza, ogni Stato Ue ha le proprie peculiarità. Queste sono state raccolte nel rapporto The governance of water services in Europe, pubblicato a marzo 2018 da EurEau (la Federazione europea dei servizi idrici), che usiamo qui come fonte per vedere qual è la situazione nei principali Paesi europei.



Germania


In Germania, secondo i dati di EurEau, quasi il 40 per cento della fornitura idrica è sotto una gestione pubblica delegata: l’ente pubblico nomina una società controllata direttamente dall’ente pubblico per la gestione della rete idrica, che è di proprietà dello Stato.


Il restante 60 per cento, invece, è sotto gestione privata delegata. Rispetto al caso precedente, la società designata per la gestione dell’acqua non è controllata da un ente pubblico, ma è privata, e attraverso una gara ottiene una concessione con scadenza dopo alcuni anni.


Esiste anche una piccola porzione di acqua gestita direttamente dal pubblico, ma che non arriva neppure all’1 per cento del totale.



Regno Unito


Nel Regno Unito, la gestione dell’acqua cambia tra le singole nazioni.


In Inghilterra e Galles, i servizi idrici funzionano sotto il modello della gestione privata diretta: la gestione e, a differenza dell’Italia, anche la proprietà delle reti idriche sono affidate a società private.


Le tariffe, però, hanno dei limiti che sono imposti dalla Water Services Regulation Authority (Ofwat), che è un ente governativo, indipendente, con il compito di controllare e regolamentare l’operato dei privati.


In Scozia e Nord Irlanda, invece, i servizi idrici funzionano sotto il modello della gestione pubblica delegata.


Francia


Secondo i dati EurEau, i francesi – così come gli italiani – possono ricevere l’acqua da tre tipi di gestione diversa: gestione pubblica diretta; gestione pubblica delegata; e gestione privata delegata.


Come spiega un approfondimento del Gruppo Hera (che gestisce servizi idrici in alcune regioni italiane), in Francia la gestione dell’acqua è però caratterizzata «da una grande frammentazione» e «a volte nello stesso comune convivono per i diversi settori della filiera soluzioni diverse».


Come in Italia, le reti idriche francesi non possono essere date in proprietà a privati.



Spagna


I tre modelli presenti in Francia sono presenti anche in Spagna, dove il 10 per cento della popolazione riceve l’acqua da reti a gestione direttamente pubblica.


Un 56 per cento degli abitanti è servita con il modello della gestione pubblica delegata, mentre un 34 per cento da società private che hanno ricevuto in concessione la gestione dell’acqua pubblica.



Tiriamo le fila


Ricapitolando: in Italia, Germania, Francia e Spagna le reti idriche sono esclusivamente di proprietà dello Stato e vige un mix tra tre sistemi di gestione: pubblica diretta, pubblica delegata e privata delegata. Solo in Inghilterra e Galles esistono infrastrutture idriche gestite da privati e di loro proprietà.



Conclusione


In Italia le reti idriche sono pubbliche e la loro gestione nella quasi totalità dei casi è in mano al settore pubblico o a società dove il capitale privato rappresenta la minoranza. Anche negli altri grandi Paesi dell’Europa continentale – Francia, Germania e Spagna – vige un sistema in cui la proprietà è solo pubblica mentre la gestione può essere pubblica, mista o privata. In due nazioni del Regno Unito (Inghilterra e Galles), le reti sono di proprietà privata e gestite da privati, anche se sulle tariffe e le regolamentazioni esiste un controllo da parte dello Stato.


 

 

 

FONTE AGI