Per Matteo Turbertini, volto di Caffè Guglielmo, parlare di legalità non è un esercizio retorico. In un lungo intervento diffuso pubblicamente, l’imprenditore spiega come per lui e per la sua famiglia il riferimento centrale non sia la parola legalità, ma il concetto più profondo di giustizia. Una giustizia che non nasce da norme o convenzioni, ma da un valore tramandato nel tempo, radicato nella storia familiare e nel senso del dovere che guida scelte, relazioni e modo di fare impresa.

Turbertini lo ribadisce con chiarezza: denunciare non è un gesto suggerito dalle circostanze, ma la conseguenza naturale di un’etica costruita negli anni. Significa guardare negli occhi collaboratori, clienti e comunità sapendo di non aver mai arretrato davanti al torto. Un valore morale che restituisce rispetto, credibilità e fiducia.

Il trauma dell’incendio e la ferita istituzionale

Nelle sue parole torna anche una vicenda recente che ha segnato Catanzaro e l’intera Calabria: l’incendio che ha devastato lo stabilimento della Caffè Guglielmo. Le immagini di quei momenti sono ancora impresse nella memoria della comunità. Ma a distanza di mesi, alla solidarietà iniziale si è aggiunta una profonda delusione.

Turbertini denuncia infatti la decisione della Prefettura di Catanzaro di rigettare la richiesta dell’azienda di accedere al fondo antiracket. Una motivazione che lascia sconcertati: secondo l’ente, mancherebbe un contesto di intimidazione e la modalità del rogo sarebbe atipica rispetto ad altri episodi. Parole che, afferma l’imprenditore, feriscono perché arrivano proprio da chi dovrebbe tutelare chi subisce un danno grave e non da chi lo infligge.

Un messaggio pericoloso, sottolinea: se lo Stato mette in dubbio persino l’evidenza di un incendio devastante, molti imprenditori sentiranno ancora di più il peso della solitudine.

La solitudine di chi denuncia e la forza del dovere morale

Turbertini racconta un percorso segnato da smarrimento, rabbia e delusione, ma anche da una determinazione che non si spegne. Chi denuncia, ribadisce, non cerca vantaggi né applausi. Cerca coerenza, tutela e verità. Cerca la certezza che un’azienda e i suoi lavoratori non verranno abbandonati dalle istituzioni.

Una denuncia che si aggiunge a un problema più ampio: il clima di diffidenza che spesso circonda gli imprenditori che scelgono di esporsi. Un clima che rischia di allontanare ancora di più chi, invece, dovrebbe essere incentivato a difendere il bene comune.

Una Calabria che vuole rialzarsi

Turbertini parla anche in qualità di presidente de La Tazzina della Legalità, associazione nata per sostenere la cultura della giustizia e della responsabilità sociale. La sua posizione è netta: la rinascita della Calabria passa da istituzioni che ascoltano, credono e sostengono chi è vittima, non chi intimidisce.

La solidarietà nei confronti di Caffè Guglielmo, scrive, non è un gesto di facciata ma una scelta radicata nei principi che guidano ogni giorno la comunità aziendale.

La speranza come atto di responsabilità

Nonostante la delusione, Turbertini non rinuncia alla fiducia nel futuro. Perché chi costruisce lavoro costruisce speranza, e non può permettersi il pessimismo. Continuerà, dice, a credere nella giustizia, a proteggere ciò che è stato costruito e a difendere la storia dell’azienda e dei suoi lavoratori.

Una chiusura che richiama una delle sue citazioni più sentite, firmata Adriano Olivetti:
“La speranza è un dovere, non un lusso. Il lavoro è un atto di giustizia.”