Lea Garofalo, il coraggio e il prezzo della libertà
Dalla Calabria a Milano, la storia di una donna che sfidò la ‘ndrangheta per il futuro della figlia e pagò con la vita la sua scelta di verità

Lea Garofalo nacque nel 1974 a Petilia Policastro, piccolo centro del crotonese. Cresciuta in una famiglia profondamente radicata nella ‘ndrangheta, imparò fin da piccola che il suo destino era già segnato. Nonostante l’ambiente soffocante e violento, la nascita della figlia Denise nel 1991 la spinse a desiderare qualcosa di diverso: una vita libera e lontana dalle logiche criminali.
La svolta e la scelta pericolosa
Negli anni successivi, persuasa che il bene di sua figlia valesse più di ogni pressione, Lea decise di collaborare con la magistratura antiracket. Le sue testimonianze, raccolte a partire dal 2002 a Milano, coinvolsero membri del clan dei Cosco, responsabili, secondo la donna, della morte di suo fratello. Questa scelta ribadiva una rottura netta con il passato e la rivelava consapevolmente fragile, ma determinata a cambiare il proprio destino.
Tra protezione e solitudine
Lea e sua figlia entrarono nel programma di protezione, prima trasferendosi a Campobasso e poi in altre località, ma la vita fu tutt’altro che calma. Ripetuti avvertimenti mafiosi, la sottrazione della protezione nel 2006 e la decisione a sorpresa di rinunciare a essere testimone protetta ne complicarono l’esistenza. In una nota filtrata, la donna denunciò la mancanza di sostegno concreto e la precarietà della propria condizione.
Tradita e uccisa da chi voleva proteggere
Nel novembre del 2009, Lea accettò di incontrare a Milano il suo ex compagno Carlo Cosco, convinta di poter garantire alla figlia un futuro scolastico migliore. Invece, fu attirata in una trappola dove venne strangolata e il suo corpo ridotto in cenere per giorni in un appartamento nascosto a Monza. La brutalità del delitto, ideato per punire chi aveva osato tradire il clan, scioccò l’Italia intera. Dopo una lunga e complessa inchiesta, con la testimonianza decisiva della figlia Denise, i responsabili furono arrestati e condannati, anche in appello e in Cassazione.
Un simbolo di resistenza
La figura di Lea, post mortem, divenne emblema di lotta contro la criminalità organizzata. Le testimonianze, i libri, i film, le fiction e i luoghi intitolati a lei da Milano a Catanzaro, testimoniano che il suo gesto ha lasciato un segno profondo. Personaggi pubblici, associazioni come Libera e comunità intere hanno usato la sua storia per richiamare l’attenzione sulla violenza contro le donne e la necessità di sostenere chi rompe l’omertà.
La memoria che vive
Ancora oggi, ogni 21 marzo, il suo nome risuona durante le celebrazioni per le vittime innocenti di mafia. Quel sacrificio continua a fare scuola sulle responsabilità dello Stato verso testimoni di giustizia e sugli strumenti necessari per proteggere donne coraggiose che scelgono la verità. Lea Garofalo resta nella memoria collettiva come simbolo di una resistenza senza compromessi, capace di rompere le catene del silenzio e di accendere speranza nelle coscienze del nostro Paese.