Scavi-lupara-bianca
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La lupara bianca rappresenta una delle forme più cruente e misteriose di violenza legata alla criminalità organizzata in Calabria. Con questa espressione si indicano gli omicidi compiuti da clan mafiosi senza che i corpi delle vittime vengano mai ritrovati: una strategia studiata per cancellare ogni traccia materiale del delitto, negando alle famiglie perfino il diritto a una sepoltura. È un fenomeno che affonda le radici nella storia della ’ndrangheta, ma che continua a segnare il presente della regione, trasformandosi in un incubo per decine di famiglie che da anni attendono verità e giustizia.

Secondo i dati raccolti negli ultimi decenni da magistratura e associazioni antimafia, i casi di lupara bianca in Calabria sono innumerevoli e riguardano soprattutto gli anni Ottanta e Novanta, quando le guerre tra cosche si traducevano in sparizioni improvvise e definitive. Le vittime erano spesso affiliati ritenuti traditori, imprenditori che non accettavano di piegarsi al ricatto o, più raramente, innocenti travolti da dinamiche criminali spietate.

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Un fenomeno che lascia solo silenzi e famiglie spezzate

La peculiarità della lupara bianca non sta solo nella violenza del gesto, ma nella strategia del silenzio che ne consegue. L’assenza del corpo impedisce indagini complete, processi rapidi e, soprattutto, priva le famiglie di un luogo di memoria. Questo dolore sospeso si trasforma in un vuoto senza fine, in cui la speranza di ritrovare un congiunto si alterna alla consapevolezza della sua uccisione.

Numerose inchieste giudiziarie hanno cercato di far luce su queste sparizioni, ma il muro di omertà che circonda la ’ndrangheta ha reso difficile ricostruire le dinamiche e individuare responsabilità dirette. Spesso, solo i pentiti hanno consentito di riaprire capitoli dimenticati, rivelando luoghi di occultamento o modalità di esecuzione. In molti casi, però, le famiglie non hanno mai potuto recuperare i resti dei propri cari.

Il fenomeno della lupara bianca, oltre a rappresentare una ferita umana e sociale, è anche un potente strumento di controllo criminale: la sparizione diventa un messaggio ai vivi, un modo per riaffermare l’autorità dei clan e intimidire chiunque pensi di opporsi.

La Calabria tra memoria, giustizia e impegno civile

Nonostante il dolore e la paura, negli ultimi anni la Calabria ha visto crescere un movimento di resistenza civile contro la cultura della lupara bianca. Associazioni, scuole e familiari delle vittime hanno dato vita a percorsi di memoria per non dimenticare i nomi degli scomparsi e per trasformare l’assenza in impegno collettivo.

Sul fronte istituzionale, magistratura e forze dell’ordine continuano a lavorare per riaprire fascicoli e ricostruire storie rimaste sospese. Inchieste complesse, spesso legate a collaborazioni internazionali, hanno permesso di attribuire responsabilità e di restituire alle famiglie almeno una parte di verità. Tuttavia, la lotta è ancora lunga: la lupara bianca rimane uno degli strumenti più subdoli della criminalità organizzata calabrese.

Raccontare e analizzare questi casi significa ricordare che dietro ogni sparizione c’è una famiglia spezzata e una comunità ferita. Ma significa anche riaffermare il valore della giustizia e della memoria come armi indispensabili per costruire una Calabria diversa, capace di liberarsi dal giogo della paura e dell’omertà.