Estorsione
Estorsione

Il caso di I.D.M., una giovane donna di Cosenza, rappresenta un emblematico esempio di sfruttamento lavorativo che ha portato alla luce gravi violazioni dei diritti dei lavoratori. Il suo percorso professionale, iniziato con un’opportunità promossa dalla Regione Calabria, si è trasformato in una vicenda di vessazioni, inganni e abusi di potere. A difendere la donna è l’avvocato Gianpiero Calabrese, che ha presentato una denuncia dettagliata, ricostruendo i fatti che hanno segnato la vita lavorativa della sua assistita.

L’inizio: una promettente opportunità lavorativa

Nel 2014, I.D.M. partecipò a un bando della Regione Calabria che prevedeva corsi di formazione e tirocini retribuiti presso aziende del territorio. Il programma aveva lo scopo di favorire l’inserimento lavorativo, offrendo incentivi economici alle imprese per ogni tirocinante assunto a tempo indeterminato. I.D.M. scelse di svolgere il tirocinio presso la “Olivicola Cosentina Società Cooperativa”, con sede a Cosenza, il cui legale rappresentante era Massimino Magliocchi. Al termine dello stage, nel gennaio 2015, il signor Magliocchi le propose un contratto, garantendole un rimborso spese in attesa di un’assunzione formale. Nonostante le promesse iniziali, la situazione si complicò. A giugno 2015, anziché ricevere il rimborso promesso,  I.D.M. venne indirizzata verso un’altra azienda della famiglia Magliocchi, la “Eurosinergy Consulting S.r.l.”, dove firmò un contratto a tempo indeterminato. Tuttavia, sin dal primo giorno di lavoro, le fu chiesto di svolgere le sue mansioni presso la sede della “Olivicola Cosentina”, sollevando i primi dubbi sulla legittimità delle operazioni aziendali.

Lo sfruttamento economico e le pressioni psicologiche

Già dopo un mese dall’inizio del nuovo rapporto di lavoro, il legale rappresentante della Eurosinergy Consulting, Giovanni Magliocchi, figlio di Massimino, comunicò a I.D.M. di non poterle corrispondere l’intero stipendio concordato, adducendo difficoltà finanziarie. Le propose quindi una soluzione vessatoria: degli importi accreditati tramite bonifico bancario, I.D.M. avrebbe potuto trattenere solo 500 euro, restituendo la somma restante in contanti. Magliocchi impose regole rigide per evitare che l’accordo venisse scoperto, proibendo riferimenti espliciti nelle conversazioni telefoniche e chiedendo di parlare genericamente di “documenti”. Sebbene la situazione apparisse subito ingiusta, Ida accettò per timore di perdere il lavoro, confidando che fosse una condizione temporanea. Così iniziò una spirale di sfruttamento economico e psicologico che si protrasse per mesi.

La manipolazione delle buste paga e le conseguenze fiscali

Secondo quanto emerso dalla denuncia, I.D.M. percepiva formalmente gli stipendi previsti dal contratto di lavoro, ma di fatto riceveva solo una parte delle somme accreditate. Questa pratica, oltre a rappresentare una grave violazione dei suoi diritti, generò ulteriori complicazioni fiscali. A causa degli importi ufficialmente dichiarati, la donna avrebbe perso l’esenzione dal pagamento delle tasse, pur non percependo realmente quei redditi. Ida chiese una soluzione a Giovanni Magliocchi, il quale le assicurò che avrebbe detratto gli importi per gli F24 dalle somme da restituire. Anche in questo caso, la promessa non si concretizzò mai. Nel frattempo, la giovane continuava a restituire parte dello stipendio, nonostante i ritardi nei pagamenti che si fecero sempre più frequenti.

Le minacce di licenziamento e il ricorso all’estorsione

Il rapporto lavorativo si deteriorò ulteriormente nell’estate del 2016, quando i ritardi nei pagamenti divennero la norma. I.D.M. sollecitò più volte il pagamento delle somme pattuite, come testimoniano i messaggi WhatsApp allegati alla denuncia. In queste conversazioni, emergono richieste di chiarimenti in ordine ai pagamenti rimasti inevasi e la pressione psicologica esercitata dal datore di lavoro. Un episodio significativo si verificò nell’agosto 2016, quando I.D.M. incontrò Giovanni Magliocchi per restituire parte dello stipendio accreditatole, relativo alla mensilità di aprile 2016. La vicenda evidenzia come le richieste economiche fossero sistematiche e organizzate, configurando una condotta assimilabile al reato di estorsione, secondo la giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione.

La proposta di conciliazione sindacale: un inganno ben orchestrato

Alla fine dell’estate 2016, Giovanni Magliocchi propose a I.D.M. una soluzione per risolvere i problemi legati agli stipendi arretrati. Le prospettò una conciliazione in sede sindacale, durante la quale la donna avrebbe rassegnato le dimissioni in cambio del pagamento delle somme dovute. Come garanzia, Magliocchi le assicurò una riassunzione immediata presso la “Olivicola Cosentina”, con un contratto a tempo determinato che sarebbe stato rinnovato periodicamente. Convinta della convenienza dell’accordo e della promessa di continuità lavorativa, I.D.M. accettò. Il 18 novembre 2016 firmò il verbale di conciliazione e un nuovo contratto di lavoro a tempo determinato, valido dal 21 novembre 2016 al 31 gennaio 2017. Tuttavia, le aspettative vennero disattese: non ricevette alcuna retribuzione per il nuovo contratto e, alla scadenza dello stesso, le fu comunicato che non sarebbe stato rinnovato.

La fine del rapporto lavorativo e il ricorso alla giustizia

Alla scadenza del contratto a tempo determinato, I.D.M. tentò di ottenere chiarimenti, contattando sia Giovanni Magliocchi sia il padre Massimino. Tuttavia, entrambi evitarono di fornirle risposte concrete. Non solo non vennero corrisposte le somme arretrate, ma le fu anche negata la possibilità di proseguire il rapporto lavorativo. La vicenda si concluse con una diffida ad adempiere inviata da I.D.M. il 16 febbraio 2016, alla quale seguì un parziale pagamento delle somme dovute. Resasi conto di essere stata vittima di un raggiro, I.D.M. decise di agire legalmente contro Giovanni Magliocchi, accusandolo di estorsione e truffa, ai sensi degli articoli 629 e 640 del Codice Penale. L’avvocato Gianpiero Calabrese, difensore della donna, ha presentato una denuncia dettagliata, evidenziando come il datore di lavoro abbia abusato della sua posizione di potere per ottenere vantaggi economici, minacciando il licenziamento e manipolando le condizioni contrattuali.

Riflessioni sulla giurisprudenza e l’importanza della tutela dei lavoratori

Il caso di I.D.M. solleva importanti interrogativi sulla protezione dei diritti dei lavoratori e sull’efficacia dei controlli da parte delle autorità competenti. La giurisprudenza italiana è chiara nel qualificare come estorsione la condotta del datore di lavoro che impone condizioni contrattuali svantaggiose sotto minaccia di licenziamento. Tuttavia, vicende come questa dimostrano quanto sia difficile per le vittime ottenere giustizia, soprattutto quando si trovano in una posizione di debolezza economica e psicologica. L’avvocato Calabrese ha sottolineato l’urgenza di interventi legislativi e amministrativi per prevenire situazioni simili. La promozione di programmi di formazione e tirocinio è un passo importante per sostenere l’occupazione, ma deve essere accompagnata da meccanismi di vigilanza efficaci per evitare che le iniziative vengano sfruttate per scopi illeciti. Il caso di I.D.M. è un esempio doloroso di come le promesse di crescita professionale possano trasformarsi in un incubo di sfruttamento e vessazioni. La sua denuncia rappresenta un passo importante verso la ricerca di giustizia, non solo per lei, ma per tutti i lavoratori che si trovano in situazioni analoghe. L’esito del processo costituirà un precedente significativo, evidenziando l’importanza di tutelare i diritti dei lavoratori e di combattere ogni forma di abuso nel mondo del lavoro.

 

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