Il food blogger: l'artista che trasforma il cibo spazzatura in capolavoro culinario
Dietro questi elogi gastronomici si cela una realtà meno romantica: il food blogger non vive di trasparenza, ma di compromessi
Gusto Ribelle
Nel regno del food marketing, dove il mediocre viene elevato ad eccellenza e il cibo trascorre più tempo sotto i riflettori che sui fornelli, domina una figura mitologica: il food blogger. Questo moderno alchimista del gusto mediocre riesce a trasformare una ‘nduja ossidata in “un’esplosione di sapori autentici della tradizione calabrese” e un piatto di fileja scotti in “un’ode all’armonia rustica del territorio”. Tuttavia, dietro questi elogi gastronomici si cela una realtà meno romantica: il foodblogger non vive di trasparenza, ma di compromessi.
Tutto è sempre buono
Addentrarsi nel mondo dei foodblogger è come entrare in una setta, dove vige una regola non scritta: tutto è sempre buono. Ogni piatto, soprattutto quelli di scarsa qualità, viene definito una “rivelazione di sapori”. Non importa cosa ci sia nel piatto: basta un filtro Instagram, un hashtag ben studiato, ed ecco servito il racconto perfetto. La verità, per loro, non è necessaria. Anzi, è scomoda. E soprattutto, non porta guadagni.
Il foodblogger prospera grazie a inviti, pranzi offerti e collaborazioni lucrose.
Criticare significherebbe spezzare quel circolo dorato fatto di cene gratis e trattamenti da VIP. Meglio quindi cantare le lodi anche del piatto più scadente. Se il pesce stocco alla ghiotta è stato preparato con ingredienti di dubbia freschezza, diventa “un omaggio alla cucina sostenibile”; se le pitticelle sono gommosette, si celebra la “cura artigianale della tradizione”.
Il ristoratore sa di non dover puntare sulla qualità
Il rapporto tra foodblogger e ristoratore è una danza perfettamente sincronizzata. Il ristoratore sa di non dover puntare sulla qualità: basta aggiungere una fetta di caciocavallo silano come guarnizione, e il foodblogger farà il resto. Una foto ben studiata, una didascalia enfatica come “un piatto che racchiude l’essenza della Calabria”, e il pubblico è servito. E guai a chiedersi se il piatto sia stato davvero mangiato: spesso ha passato più tempo sotto l’obiettivo che in bocca al suo recensore.
Questo fenomeno non si limita a tradire chi cerca opinioni sincere, ma influisce negativamente sull’intera scena gastronomica. Con il loro entusiasmo indiscriminato, i foodblogger contribuiscono all’abbassamento degli standard culinari. Perché un ristoratore dovrebbe impegnarsi a creare qualcosa di straordinario, se un piatto mediocre può essere descritto come “un viaggio sensoriale tra tradizione e modernità”?
La verità è un ospite sgradito
Il risultato è un settore che investe più nei piatti di ceramica che nei prodotti freschi, chef che si concentrano più sull’estetica che sul sapore, e clienti che pagano prezzi esorbitanti per cibo che spesso non va oltre il livello di una mensa, travestito però da alta cucina. La verità, nel mondo dei foodblogger, è un ospite sgradito. Provare a raccontare che un piatto di lagane e ceci era insipido significa essere esclusi dalle liste VIP e dalle collaborazioni, il che è inaccettabile in un ecosistema basato su scambi di favori. Meglio continuare a trasformare una pasta e patate ara tieddra mal riuscita in “un inno alla tradizione contadina” o una crostata di fichi secchi troppo dolce in “un abbraccio zuccherino che ti conquista”.
E così, questi narratori del nulla continuano a riempire i social con immagini impeccabili e descrizioni altisonanti, spingendo i lettori a credere che il ristorante mediocre dietro l’angolo sia un tempio della gastronomia. Solo quando ci si siede a tavola, la verità emerge: la “pasta e patate ara tieddra” è una massa collosa senza gusto. Forse un giorno un foodblogger avrà il coraggio di scrivere una recensione onesta. Forse leggeremo che il pesce spada alla griglia era stopposo e la crostata un insulto al palato. Ma fino ad allora, continueremo a vivere in un regno di iperboli, dove ogni piatto è una “celebrazione di sapori” anche quando non sa di nulla.
E mentre il mediocre trionfa, grazie a chi ha scambiato l’onestà per una cena gratis, resta solo una domanda: davvero abbiamo bisogno di un altro post che esalti una lasagna al forno scotta o una pitta ‘mpigliata rafferma? Forse è meglio fidarsi del proprio palato: è il critico più sincero che possiate trovare.