Piromalli, il clan che non smette di imporre la sua ombra su Gioia Tauro
Dall'era storica al restauro criminale: quando il boss ritorna padrone

La cosca Piromalli ha le sue radici a Gioia Tauro e conta tra le ‘ndrine più antiche e radicate in Calabria. Figura centrale è Girolamo “Don Mommo” Piromalli, che nel corso del Novecento consolidò un potere criminale fondato su alleanze e controllo territoriale. Dopo la sua morte, il comando passò a Giuseppe “Peppe” Piromalli, continuando una leadership che ha saputo adattarsi e innovarsi nel tempo.
I Piromalli si distinsero per la capacità di inserirsi negli affari infrastrutturali e portuali, sfruttando l’espansione del porto di Gioia Tauro e le opere ad esso collegate come terreno fertile per affari illeciti e manovre sugli appalti pubblici. In questo modo, il clan consolidò un’influenza che travalicò i confini provinciali, fino a detenere relazioni criminali nazionali e internazionali.
Il boss “Facciazza” e il ritorno al centro del potere
Una svolta recente nella storia dei Piromalli è rappresentata da Giuseppe “Pino” Piromalli, noto come “Facciazza”. Dopo un periodo molto lungo di detenzione, nel 2021 venne scarcerato, e ben presto gli inquirenti notarono che avrebbe impostato una strategia per il “restauro” del clan.
Recenti operazioni, come l’azione denominata “Res Tauro”, hanno coinvolto 26 persone, e hanno individuato nel 80enne “Facciazza” il capo promotore del rilancio del sodalizio criminale. Da quanto emerso, subito dopo la sua liberazione avrebbe ridefinito ruoli, ripristinato vecchie regole e riaffermato il potere sul territorio, con una pressione strategica su imprese e aste giudiziarie per acquisire beni confiscati o proceduralmente vulnerabili.
Il modus operandi: estorsione, riciclaggio, manipolazione
I Piromalli operano con un modello sofisticato: non solo estorsione, ma anche riciclaggio, autoriciclaggio, manipolazione dei processi di vendita giudiziaria e infiltrazioni negli appalti. L’inchiesta Res Tauro ricostruisce come il clan abbia alterato procedure di asta, imposto condizioni a chiunque partecipasse, e forzato la restituzione di beni confiscati tramite accordi occulti.
In particolare, tale documentazione denuncia che il clan, nel periodo successivo alla scarcerazione del boss storico, ha orchestrato un disegno di riconquista del potere non solo attraverso la violenza diretta, ma anche via corruzione, relazioni strategiche e il controllo delle istituzioni locali.
Effetti sul territorio e oppressione economica
La presenza del clan Piromalli ha plasmato la Piana di Gioia Tauro come feudo mafioso: imprese sottoposte, scelte di mercato condizionate e consapevolezza diffusa che poter agire “fuori dalla regola” è rischioso. Il controllo sul porto ha dato un ulteriore vantaggio: la capacità di condizionare il movimento delle merci, i lavori portuali, le aziende che partecipano ai bandi locali.
Gli imprenditori locali che osano dissentire sono soggetti a richieste di pizzo, intimidazioni o esclusione nei processi di appalto. I beni confiscati diventano oggetto di riconquista o ricollocazione tramite prestanome. In questo modo, il clan ha saputo far valere la propria egemonia non solo con le armi, ma con il mercato e la legalità deviata.
La risposta dello Stato e la sfida futura
L’operazione Res Tauro rappresenta lo sforzo di magistratura e forze dell’ordine per tarpare le ali al clan, rimettendo sotto pressione assetti criminali che si ritenevano consolidati. Ma l’arresto di 26 persone, per quanto importante, rischia di essere un colpo temporaneo se non accompagnato da strategie strutturali: se il vuoto investigativo lascia spazi, il clan può rigenerarsi.
Per contrastarlo efficacemente è necessario che lo Stato agisca con continuità e coerenza: monitoraggi su appalti e gare, rigore nelle misure patrimoniali, protezione dei testimoni e libertà per gli imprenditori che resistono. La comunità locale non può rassegnarsi: serve una cultura della legalità che opponga voce al potere mafioso, partecipazione civile e controlli diffusi.
Il clan Piromalli non è un residuo del passato: è una realtà viva, pericolosa, che accarezza il potere invisibile. Riprendergli quel territorio significa non solo arrestare persone, ma liberare una terra da venti di sopraffazione, restituendo dignità, opportunità e libertà alla sua gente.