La tragedia di Angela Costantino, una vita spezzata dall’onore mafioso
Un delitto che rivelò le dinamiche di potere della ’ndrangheta e pose fine alla speranza di una giovane madre di quattro figli
Il 16 marzo 1994 scomparve da Reggio Calabria Angela Costantino, una giovane donna di 25 anni e madre di quattro figli. Inizialmente la sua sparizione fu presentata come un allontanamento volontario: si immaginò che Angela fosse fuggita. Il suo veicolo fu ritrovato a Villa San Giovanni, ma di lei non vi fu più traccia. Per molti anni la vicenda restò avvolta nel mistero e nel silenzio.
La verità sepolta e la mano del clan
Solo dopo quasi due decenni — grazie alle rivelazioni di alcuni collaboratori di giustizia — emerse la verità. Angela non era fuggita: era stata uccisa, strangolata nella propria abitazione, su ordine della famiglia del marito — membro di un’importante cosca della ’ndrangheta — perché accusata di aver avuto una relazione extraconiugale durante la detenzione del marito. Il delitto era stato architettato come “punizione” per riaffermare l’onore maschile calpestato da un presunto tradimento. Il corpo di Angela non è mai stato ritrovato: la donna è stata fatta scomparire in modo sistematico, secondo modalità tipiche delle esecuzioni mafiose e di una “lupara bianca”.
Il processo, le condanne e la rivelazione della brutalità
Nel 2012 le indagini coordinate dalla Procura distrettuale antimafia portarono all’arresto dei tre presunti responsabili dell’omicidio: il cognato, lo zio del marito e un nipote, esecutore materiale del delitto. L’accusa includeva omicidio volontario premeditato, associazione mafiosa e occultamento di cadavere. La gravità del fatto stava non solo nell’eliminazione fisica di una donna, ma nella volontà di cancellare la sua esistenza e negare la sua memoria. Il reato — atroce per crudeltà e per motivazioni — divenne simbolo di come il patriarcato mafioso eserciti il dominio anche sui corpi delle donne. La Corte d’Appello confermò le condanne già emesse, riconoscendo che l’omicidio era stato deciso come punizione per “infedeltà”, con tutti gli elementi di un progetto criminoso premeditato.
Una ferita aperta nella storia calabrese
Il caso di Angela Costantino non è un fatto isolato: rappresenta un pezzo doloroso del lungo elenco di vittime innocenti della ’ndrangheta. La sparizione di una giovane madre, l’uso del delitto come strumento di controllo sociale, l’occultamento del corpo sono elementi che raccontano non solo la brutalità di un crimine, ma l’intento di instillare paura, silenzio e omertà. Ogni anniversario, ogni rievocazione del suo nome diventa un monito: l’onore invocato da chi comanda non può giustificare la morte di chi sceglie la libertà.
Memoria, giustizia e bisogno di verità
La vicenda di Angela Costantino insegna che la giustizia può anche tardare, ma non deve mai rinunciare alla ricerca della verità — per lei, per i suoi figli, per la comunità. Il riconoscimento della responsabilità dei carnefici è un passo necessario, ma non sufficiente: è indispensabile mantenere viva la memoria, contrastare la cultura dell’omertà e sostenere chi denuncia. Il sacrificio di Angela deve restare vivo nella coscienza collettiva come simbolo di lotta contro ogni forma di violenza, prevaricazione e sopraffazione.