Cristiano e Tramonte (foto Trame)
Cristiano e Tramonte (foto Trame)

Francesco Tramonte, 40 anni, e Pasquale Cristiano, 28 anni, erano netturbini assunti dal Comune di Lamezia Terme. Quella mattina del 24 maggio 1991, mentre iniziavano il turno con diligenza e dedizione, furono intercettati da killer armati che li videro a bordo del camion della raccolta rifiuti nella periferia di Sambiase. Quel gesto, compiuto in virtù di una sostituzione tra colleghi, costò loro la vita in uno degli episodi più cruenti della ’ndrangheta locale.

Un omicidio con un chiaro intento intimidatorio

Il duplice omicidio non fu un errore, ma un atto deliberato verso chiunque interferisse con gli interessi delle cosche. Il controllo sui contratti dei rifiuti era strategico: chi reclamava spazio veniva eliminato. Il messaggio fu chiaro e spaventoso, segnando profondamente la comunità lametina.

Il lungo percorso verso la verità

Sono passati 34 anni, e ancora manca una condanna definitiva. Le indagini, carenti e contraddittorie, hanno ostacolato la ricerca dei responsabili. Le famiglie di Tramonte e Cristiano continuano a chiedere giustizia, segnalando come molti silenzi e depistaggi abbiano impedito una verità piena.

Ricordare per non dimenticare

Ogni anno Lamezia Terme commemora i due netturbini con una cerimonia a Miraglia, davanti a tre croci simboliche. Vengono condivise emozioni, musica e parole di speranza. L'iniziativa "22 volte", ideata dalla loro giovane nipote, richiama gli spari all’alba e trasforma il ricordo in un inno alla verità, animando la comunità a mantenere viva la memoria.

Un’eredità di coraggio e innovazione civile

Il sacrificio di Francesco e Pasquale rappresenta una pietra miliare nella lotta alla 'ndrangheta. Libera e altre realtà hanno istituito un premio a loro dedicato, unendo impegno sociale, protesta contro le ingiustizie e protezione dei lavoratori onesti. Il loro ricordo è un richiamo a garantire trasparenza nelle amministrazioni e nei servizi pubblici.

La sfida che resta

La vicenda di Tramonte e Cristiano è ancora un capitolo aperto di quella “guerra silenziosa” della ‘ndrangheta contro la legalità. Il loro massacro evidenzia quanto sia pericoloso occupare posti di lavoro percepiti come strategici dalle cosche. La richiesta di giustizia delle famiglie, l’azione di associazioni e istituzioni locali rappresenta un’esortazione a non cedere all’omertà e a battersi affinché nessuno muoia più per «aver fatto semplicemente il proprio lavoro».