Arturo Caputo
Arturo Caputo

Era il 4 luglio 1990, un giorno che doveva celebrare il calcio e la voglia di condividere emozioni. Arturo Caputo, sedicenne studente di ragioneria, era in una pizzeria di Strongoli marina insieme ad amici per seguire in tv la partita Inghilterra–Germania, semifinale mondiale nel clima dell’Italia ’90. Improvvisamente un uomo armato fece irruzione con un fucile a pompa, aprendo il fuoco nel tentativo di eliminare un pregiudicato locale, Salvatore Scalise. Nel caos che seguì, Arturo fu colpito e morì sul colpo.

Vittima innocente di un conflitto armato

La tragedia ebbe un impatto devastante: Arturo, estraneo a qualsiasi logica criminale, fu vittima innocente di una guerra tra clan – in particolare tra le famiglie Dima e Castiglione – che non esitò a colpire chiunque si trovasse sulla traiettoria dei proiettili. Due suoi coetanei rimasero feriti, ma solo lui pagò con la vita quella sera.

Una memoria che resiste nel tempo

Negli anni successivi l’omicidio di Arturo è diventato simbolo della brutalità mafiosa e della ferocia indiscriminata. La sua figura è stata ricordata durante iniziative per le vittime innocenti della ’ndrangheta. Ogni 4 luglio, associazioni e scuole ne rinnovano la memoria, affermando che la giustizia non può tacere di fronte a un così grave attentato alla vita di un giovane.

Oggi, ancora assenza di verità

A distanza di oltre trent’anni, il caso rimane impunito: nessun colpevole è stato condannato, né fu fatto giustizia per una morte tanto ingiusta quanto evitabile. La sua storia è un monito: la violenza mafiosa non risparmia l’innocenza, e il silenzio di fronte all’orrore non è mai una scelta accettabile.