medici cubani in calabria

Le recenti dichiarazioni dell’on. Anna Laura Orrico, che ha definito la collaborazione tra la Regione Calabria e i medici cubani una forma di “moderna schiavitù”, hanno suscitato un’ondata di reazioni indignate, alimentando un acceso dibattito su sanità, diritti e cooperazione internazionale. Più che una provocazione, le parole dell’esponente parlamentare sono state percepite da molti come un grave scivolone culturale e politico. Non tanto per il loro potenziale impatto sul governo regionale, quanto per l’offesa implicita alla dignità di un popolo – quello cubano – che ha fatto della sanità pubblica un pilastro di giustizia sociale e di solidarietà internazionale.

Una boccata d'aria per la sanità calabrese

In Calabria, dove da anni la sanità versa in condizioni critiche – tra sottofinanziamenti cronici, ospedali depotenziati, concorsi deserti e carenza strutturale di personale medico – l’arrivo dei professionisti cubani ha rappresentato per molti una boccata d’ossigeno. Medici formati, motivati e ben integrati nei reparti, che stanno colmando un vuoto lasciato da un sistema nazionale incapace di garantire il diritto alla cura. Definire questi operatori sanitari “sfruttati” appare, in questo contesto, una semplificazione pericolosa. I compensi versati dalla Regione Calabria non vanno ai singoli professionisti, ma allo Stato cubano, che li ha formati gratuitamente e continua a garantirne l’assistenza logistica e sanitaria. In altre parole, una forma di cooperazione che permette a Cuba di finanziare un sistema sanitario pubblico e gratuito, riconosciuto a livello internazionale per la sua efficacia, anche in contesti critici.

Una forma di cooperazione con Cuba

Accusare questo modello di “sfruttamento” senza una seria contestualizzazione politica – magari riprendendo narrazioni ideologiche ben note – rischia non solo di delegittimare un’esperienza concreta di solidarietà internazionale, ma anche di sviare l’attenzione dal vero problema: l’incapacità italiana, e calabrese in particolare, di rispondere in autonomia all’emergenza sanitaria. Chi siede in Parlamento e ha a cuore la difesa del Servizio Sanitario Nazionale dovrebbe, piuttosto, interrogarsi sul perché migliaia di giovani medici scelgano di emigrare, sul motivo per cui interi ospedali pubblici chiudano o si riducano a gusci vuoti, e su come si possa investire in modo strutturale per rafforzare il sistema sanitario regionale. Colpire i medici cubani è facile. Difendere davvero la sanità pubblica richiede visione, coraggio politico e un impegno coerente sul lungo periodo. Solidarietà e cooperazione internazionale non sono “sfruttamento”, ma strumenti concreti per dare risposte immediate a bisogni urgenti. E se c’è una “interrogazione parlamentare” da fare, è sul perché il nostro sistema sia arrivato al punto di dover chiedere aiuto a Cuba per garantire un diritto che, un tempo, rappresentava l’orgoglio del nostro Paese.

I cittadini calabresi, stretti tra disservizi e carenze strutturali, meritano molto più di una polemica. Meritano soluzioni.