Delitto Scopelliti: nuove perquisizioni a Messina, la pista porta alla cellula Romeo-Santapaola
Le perquisizioni arrivano a seguito della ricostruzione della scena del crimine effettuata lo scorso aprile

Nuovi sviluppi nell'inchiesta sull’omicidio del giudice Antonino Scopelliti, il sostituto procuratore generale della Cassazione assassinato il 9 agosto 1991 mentre percorreva in auto la strada tra Ferrito di Villa San Giovanni e Piale di Campo Calabro, il suo paese d’origine in provincia di Reggio Calabria.
Le perquisizioni
Secondo quanto riportato oggi dalla Gazzetta del Sud, la Polizia ha eseguito una serie di perquisizioni nella zona di Messina su disposizione della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, guidata dal procuratore Giuseppe Lombardo. I provvedimenti rientrano nella nuova inchiesta aperta negli ultimi anni sulla morte del magistrato, che avrebbe dovuto sostenere l’accusa nel maxiprocesso contro Cosa nostra. Le perquisizioni arrivano a seguito della ricostruzione della scena del crimine effettuata lo scorso aprile, basata sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Maurizio Avola, che si è autoaccusato come uno dei due sicari dell’agguato. Avola, già in passato, aveva permesso il ritrovamento del fucile che sarebbe stato utilizzato per l’omicidio. Secondo quanto scrive il quotidiano, gli accertamenti hanno interessato "abitazioni, capannoni e terreni che in passato sono appartenuti alla cellula messinese del gruppo Romeo-Santapaola", ritenuta una diretta emanazione del clan etneo guidato da Benedetto “Nitto” Santapaola. Quest’ultimo, figura centrale della commissione regionale di Cosa nostra, fu a suo tempo imputato come mandante dell'omicidio Scopelliti. Il processo si concluse in secondo grado con una serie di clamorose assoluzioni dopo le condanne inflitte in primo grado.
Le indagini
Le indagini puntano ora ad accertare se proprio a Messina, in aree legate a questa cellula mafiosa, sia stata predisposta la logistica dell’agguato, frutto – secondo l’ipotesi investigativa – di un accordo tra i vertici di Cosa nostra e della ‘ndrangheta. Un’alleanza che avrebbe avuto come obiettivo comune quello di fermare il magistrato simbolo della lotta alla mafia, alla vigilia del processo più importante nella storia della giustizia italiana. Anni fa, nell’ambito della stessa indagine, furono notificati diciotto avvisi di garanzia a esponenti di primo piano della criminalità organizzata siciliana e calabrese, tra cui figurava anche Matteo Messina Denaro, il boss trapanese poi arrestato nel 2023 dopo trent’anni di latitanza. L’inchiesta della Dda reggina rilancia così l’attenzione su uno degli episodi più oscuri della stagione stragista mafiosa e punta a fare piena luce su un omicidio che segnò uno spartiacque nel contrasto alla criminalità organizzata.