Cosca Bruni di Cosenza, l’ombra lunga della ‘ndrangheta nel cuore del territorio
Radicamento, omicidio emblematico e operazioni giudiziarie: la saga criminale della famiglia Bruni

La cosca Bruni, detta anche ‘ndrina Bruni-Foggetti, è una delle più note e temute realtà malavitose operanti nella provincia di Cosenza. I fratelli Michele e Luca Bruni, insieme a Pasquale e al defunto Francesco detto “Bella Bella”, hanno guidato la cosca con mano ferma e sanguinaria, stabilendo solidi legami con altri clan del territorio, tra cui Lanzino, Patitucci e Rango‑Zingari. Nel corso degli anni ‘70 e ‘80, la famiglia si è imposta con attività criminali consolidate: traffico di droga, estorsioni, usura e infiltrazioni negli appalti pubblici.
L’arresto di Michele e la retata Telesis
Il 10 luglio 2009, Michele Bruni, allora tra i latitanti più pericolosi, venne arrestato a Grisolia, segnando un primo duro colpo per l’apparato del clan. Tuttavia, la vera operazione spartiacque arrivò nel dicembre 2010 con la maxi‑retata denominata “Telesis”: 49 arresti che portarono alla decapitazione della cosca. Oltre a Michele, furono coinvolti altri familiari e affiliati, tra cui il fratello Luca, e venne smantellato un sistema criminale ben strutturato, confermato poi da pesanti sentenze nel 2014.
L’omicidio di Luca: una faida interna in piena luce
La notte del 3 gennaio 2012, nel territorio di Castrolibero, venne ucciso di lupara bianca il boss emergente Luca Bruni, detto “Bella Bella”, ultimo figlio della linea di potere Bruni. L’omicidio, orchestrato da esponenti del clan Rango‑Zingari e dalla stessa cosca Bruni in fase di ristrutturazione interna, scatenò una serie di processi: racconti di pentiti come Foggetti e Lamanna ricostruirono una vicenda segnata da rivalità e tradimenti familiari. Il suo corpo venne nascosto per anni e ritrovato solo nel 2014, dando inizio a una lunga stagione giudiziaria culminata con condanne pesanti, inclusa quella del contabile Ettore Sottile, che ha ricevuto 20 anni di carcere in via definitiva.
Collaboratori, processo Reset e alleanze spezzate
Oggi numerosi pentiti – tra cui Adolfo Foggetti, Daniele Lamanna ed Edyta Kopaczynska – ripercorrono l’ascesa e la caduta del clan. Grazie alle loro testimonianze, è emerso come la cosca Bruni avesse stretto un’alleanza omertosa e redditizia con altri gruppi criminali, gestendo insieme traffico di droga, estorsioni e usura in tutta Cosenza. L’operazione “Reset” ha portato nuovi elementi processuali, con inchieste aperte anche sul coinvolgimento di agenti corrotti e complicità occulte nella gestione carceraria degli affiliati.
Il presente dopo la tempesta giudiziaria
Nonostante il colpo subito tra arresti, omicidi e collaborazioni di giustizia, la cosca Bruni rimane una presenza inquietante nel tessuto criminale cosentino. Le indagini successive hanno evidenziato i tentacoli del clan nelle attività economiche e negli intrecci tra cosche, nonostante l’assenza dei suoi capi storici. La condanna definitiva all’ergastolo per altri boss di rilievo e il riconoscimento della cosca da parte della magistratura come criminalità organizzata testimoniano come le sue strutture, pur decapitate, abbiano ancora radici resistenti nel territorio.
Un capitolo esemplare della ‘ndrangheta cosentina
La vicenda dei Bruni è emblematica della ‘ndrangheta a Cosenza: nasce dalle faide locali, si rafforza attraverso affari illeciti e connivenze, e resiste al tempo grazie a una rete ramificata sul territorio e all’estero. I continui arresti, i collaboratori e le indagini successive rappresentano una testimonianza della complessità dell’organizzazione mafiosa, capace di rigenerarsi oltre le perdite strategiche. La cosca Bruni rimane allo stesso tempo un simbolo di potere e di vittoria della giustizia, ma la sfida resta aperta per neutralizzare definitivamente l’influenza della ‘ndrangheta nel cuore del Cosentino.