Omicidio Albi a Pescara, la regia di Ursino dietro l’agguato: attesa la sentenza per i tre imputati
L’architetto ucciso per un carico di droga non trasportato: al centro dell’inchiesta il calabrese Natale Ursino, presunto mandante legato alla ‘ndrangheta

Si sono riuniti in camera di consiglio i giudici della Corte d’Assise di Chieti, applicata al Tribunale di Pescara, per emettere la sentenza nel processo per l’omicidio dell’architetto Walter Albi e il tentato omicidio dell’ex calciatore Luca Cavallito, avvenuti il 1° agosto 2022 in pieno centro a Pescara. Tre gli imputati a processo, per i quali la pubblica accusa ha chiesto l’ergastolo. La decisione era attesa già ieri, ma il deposito di una corposa memoria da parte della Procura – oltre 300 pagine – ha spinto le difese a chiedere più tempo per l’esame del documento.
L’agguato in pieno centro: una vera esecuzione
Erano le 19:30 di una calda sera d’estate quando un uomo con il volto coperto da un casco da motociclista fece irruzione nel dehors di un locale sulla Strada Parco di Pescara. Sotto gli occhi di decine di testimoni, sparò a bruciapelo contro Walter Albi, 66 anni, uccidendolo sul colpo, e contro Luca Cavallito, 50 anni, colpendolo gravemente. L’agguato fu fulmineo e brutale. L’aggressore fuggì rapidamente a bordo di uno scooter, facendo perdere le proprie tracce. La violenza dell’esecuzione e il contesto urbano affollato in cui si consumò l’omicidio scossero profondamente l’opinione pubblica.
Le indagini della Squadra Mobile della Questura di Pescara, coordinate da un pool di magistrati, partirono immediatamente. Il ritrovamento dello scooter, dell’arma del delitto, di alcuni indumenti e di un telefono cellulare appartenente a Cavallito fornì i primi elementi chiave. Ma fu soprattutto la testimonianza dello stesso Cavallito, sopravvissuto dopo dieci giorni di coma, a sbloccare l’inchiesta.
Il ruolo di Ursino: la mano della ‘ndrangheta dietro l’agguato
A dare un nome all’esecutore materiale dell’agguato fu proprio Cavallito: secondo la sua testimonianza, a sparare sarebbe stato Cosimo Nobile, noto pregiudicato pescarese con un passato da capo ultrà. Ma gli inquirenti, scavando più a fondo, identificarono dietro l’attacco la figura di Natale Ursino, detto “Lo curte”, originario di Locri e appartenente all’omonima ‘ndrina Ursino, attiva nella Locride.
Secondo la ricostruzione accusatoria, Ursino sarebbe stato il mandante dell’agguato, legato ai due bersagli per motivi legati al traffico di droga. In particolare, l’architetto Albi avrebbe promesso a Ursino di organizzare una traversata transoceanica verso il Sud America per conto della cosca, ma non avrebbe mai mantenuto l’impegno. Da lì sarebbe nata la volontà di punire entrambi con un’azione dimostrativa e violenta.
Al fianco di Nobile e Ursino, gli inquirenti collocano anche Maurizio Longo, ritenuto il fiancheggiatore e collaboratore dell’esecuzione. Il movente riconduce a un contesto mafioso, fatto di ritorsioni e regolamenti di conti legati al narcotraffico.
Nonostante fosse sottoposto al regime di sorveglianza speciale, Ursino è oggi irreperibile e risulta latitante. La sua figura, per la Procura, rappresenta un collegamento diretto tra la criminalità organizzata calabrese e i nuovi assetti del narcotraffico nel Centro Italia.
Attesa per la sentenza
Ora si attende la decisione della Corte. L’eventuale condanna dei tre imputati potrebbe costituire un passaggio decisivo per confermare la matrice mafiosa dell’omicidio di Walter Albi e segnare un nuovo capitolo nella lotta alla penetrazione della ‘ndrangheta nelle regioni del centro-nord. Nel frattempo, la figura di Ursino rimane centrale: il suo ruolo, il suo network criminale e la sua scomparsa rendono ancora più inquietante il quadro di una vicenda che ha messo in luce la pericolosa saldatura tra ambienti locali e mafie storiche.