È attesa per il prossimo 6 ottobre la nuova udienza del processo che si sta celebrando davanti alla Corte d’Assise di Milano contro Baris Boyun, 41 anni, considerato dagli inquirenti uno dei capi della mafia turca più ricercati a livello internazionale. L’uomo è stato arrestato nel maggio 2024 assieme ad altri sodali in una maxi-operazione condotta dalla Polizia di Stato e dalla Guardia di Finanza, sotto il coordinamento dell’aggiunta milanese Bruna Albertini.

La vicenda

Tra i dettagli che emergono, anche un collegamento inaspettato con la Calabria: prima della cattura a Bagnaia, frazione di Viterbo, Boyun si trovava infatti ai domiciliari in un piccolo centro calabrese, dove era sottoposto a sorveglianza elettronica con braccialetto, nel quale era stata installata una microspia. Da lì, secondo quanto ricostruito dalle indagini, avrebbe continuato a dirigere traffici internazionali di droga e armi – anche da guerra – sfruttando contatti in Turchia e altre rotte estere.

La portata dell’inchiesta è imponente. Dall’ordinanza firmata dal gip milanese Roberto Crepaldi, emerge che Boyun e il suo gruppo non si sarebbero limitati ad attività criminali “classiche”, ma avrebbero avuto un vero e proprio “programma politico” che mirava alla destabilizzazione delle istituzioni turche e all’imposizione del terrore tra la popolazione, con azioni violente e persino attentati. Tra i piani sventati, anche un omicidio a Berlino e un attentato fallito nei pressi di una fabbrica di alluminio alle porte di Istanbul.

Le accuse

Le accuse sono gravissime: associazione per delinquere aggravata dalla transnazionalità, banda armata con finalità terroristiche, traffico internazionale di droga e armi, fino alla pianificazione di omicidi. Alcuni dei coimputati arrestati nei mesi scorsi sono già stati condannati con rito abbreviato dal gup Domenico Santoro.

La Turchia ha chiesto a più riprese l’estradizione di Boyun, considerato uno dei latitanti più pericolosi da Ankara, ma la giustizia italiana – Cassazione compresa – ha respinto le richieste, mantenendo il presunto boss detenuto in Italia.

Al momento, non risultano collegamenti diretti tra questo procedimento e il recente arresto di altri due cittadini turchi a Viterbo, ma gli inquirenti hanno annunciato ulteriori accertamenti.

Un’inchiesta che parte dal cuore della Calabria, passa per la provincia laziale, e si estende fino agli equilibri geopolitici del Medio Oriente. Una storia criminale dai contorni internazionali, che ancora attende il suo verdetto.