L’omicidio di Domenico “Mimmo” Gullaci: il sacrificio di un imprenditore
Marina di Gioiosa Jonica, 13 aprile 2000: un’autobomba che parla di ‘ndrangheta e paura

Domenico Gullaci, detto “Mimmo”, era nato nel 1958 e gestiva insieme al fratello un’azienda di materiali per l’edilizia a Marina di Gioiosa Jonica, nella Locride. Sposato e padre di quattro figli, Gullaci conduceva una vita apparentemente tranquilla, tra l’impegno imprenditoriale e la famiglia, senza apparente esposizione pubblica o ruoli politici. Ma le sue attività economiche rappresentavano un terreno nel quale le mafie locali avrebbero facilmente potuto nutrire sospetti, pressioni o rivendicazioni di potere.
L’attentato e la dinamica dell’esplosione
Il 13 aprile 2000 Gullaci uscì presto di casa e attraversò la strada per raggiungere la sua auto, parcheggiata davanti alla caserma dei carabinieri, in via Primo Maggio, nella frazione marina. Nel momento in cui mise in moto il motore si verificò una violentissima esplosione: sotto il sedile lato conducente era stata collocata una carica di tritolo, attivata a distanza. L’ordigno fu talmente potente da dilaniare la vettura e uccidere Gullaci all’istante.
L’esplosione fu avvertita in un raggio ampio, fino a Siderno e Roccella Jonica. La scena fu definita dagli investigatori come un messaggio di forza e intimidazione mafiosa, un act simbolico che superava in brutalità l’obiettivo individuale. Durante i funerali si manifestò la tensione: 42 sindaci parteciparono in corteo, il vescovo denuncio l’assenza e il silenzio delle istituzioni, definendo l’azione un “sfregio allo Stato”.
Le indagini e i possibili mandanti
Sin dai primi rilievi, gli organi investigativi inquadrarono il delitto come un attentato di matrice mafiosa. Il centro di investigazioni scientifiche militari dichiarò che l’ordigno era attivato con telecomando, segno di elevata pianificazione. Il procuratore antimafia di allora affermò che non si trattava di un caso isolato ma di una sfida esplicita delle cosche locali.
Le indagini emersero un contesto già segnato da intimidazioni subite da Gullaci: poco tempo prima, durante l’anno precedente, era stato incendiato un camion della sua ditta; in altri episodi alcuni marmi destinati alla sua nuova casa erano stati distrutti con mazze. Questi segnali indicavano che l’imprenditore fosse già sotto pressione.
Furono inoltre esaminate relazioni familiari drammatiche: due cognati di Gullaci, Francesco Marzano e Antonio Tarsitani, erano stati uccisi in delitti separati (rispettivamente nel 1997 e nel 1993), in condizioni evidentemente legate ai circuiti mafiosi della Locride. Inquirenti ritenevano che il delitto di Gullaci potesse avere anche connessioni con interessi criminali in Sicilia, vista la presenza di affari edereici tra le sue attività. Tuttavia, fino ad oggi non è emersa una sentenza definitiva che abbia una piena identificazione dei mandanti.
Il segno sulla comunità e la memoria pubblica
La morte di Gullaci scosse profondamente la Locride: un uomo “non pubblico” ucciso in pieno giorno davanti alla caserma dei carabinieri provocò paura, indignazione e una domanda collettiva di verità. Nel corso degli anni il suo nome è divenuto parte delle commemorazioni delle vittime innocenti delle mafie, e la sua storia viene ricordata nelle scuole, nelle piazze, negli eventi sulla legalità.
Ogni anno la sua memoria ritorna al 21 marzo, nella Giornata della Memoria e dell’Impegno per le vittime delle mafie. L’obiettivo è non lasciare che il suo sacrificio si perda nell’oblio, ma che serva come monito e stimolo a chiunque voglia opporsi al silenzio e all’omertà.
Una vicenda irrisolta ma simbolica
L’omicidio di Domenico Gullaci rimane, a distanza di decenni, un caso emblematico della violenza mafiosa che non risparmia nessuno. Anche se non è stato definitivamente accertato chi ordinò quell’attentato, il metodo — autobomba sotto l’auto privata — e il contesto fanno di questa morte un messaggio criminale verso una comunità.
La vicenda dimostra quanto l’impresa onesta, anche se non schierata politicamente, possa diventare bersaglio quando attraversa territori caratterizzati da potere mafioso. Ricordare Gullaci significa continuare a chiedere che la giustizia faccia il suo corso e che le istituzioni non offrano spazi di impunità alla criminalità.
La sua figura insegna che ogni vittima “anonima” merita non un nome dato dal crimine, ma un’eco nella memoria civile, affinché la sua morte non resti una tragedia isolata, ma parte integrante della lotta di tutti contro l’illegalità.