Stroncatura: la pasta proibita che oggi è orgoglio calabrese
Dalle umili origini tra i mulini della Piana di Gioia Tauro alla rinascita gourmet: storia, sapore e identità di un piatto che ha trasformato la povertà in eccellenza

Nel cuore della Calabria, dove le montagne sfiorano il mare e le tradizioni si intrecciano come i vicoli dei borghi antichi, esiste un piatto che racconta più di mille parole: la stroncatura. Non è solo una pasta. È un pezzo di storia popolare, un atto di resistenza culinaria, un’eredità che sa di pane nero e dignità contadina.
Origini umili, anima nobile
La stroncatura nasce come piatto povero, fatto con gli scarti della molitura del grano: crusca, farine non raffinate, e a volte persino i residui spazzati via dai pavimenti dei mulini. In origine era addirittura proibita dalla legge, considerata insalubre e adatta solo alla tavola degli ultimi. Ma come spesso accade, la povertà ha generato genialità: bastava lavare bene quella miscela rustica, impastarla con acqua e trasformarla in un impasto grezzo e scuro, poi tirato in forma di linguine larghe e porose.
Il risultato era una pasta ruvida, intensa, viva, che sapeva di grano vero e di fatica. Una pasta che "abbracciava" i condimenti, come se volesse trattenerli in un ultimo atto di orgoglio.
La rinascita della stroncatura
Oggi, quella che era una pietanza clandestina è diventata una specialità apprezzata e ricercata. Ovviamente i metodi di produzione sono cambiati: non più farine di scarto, ma miscele selezionate di grano integrale e semola di alta qualità, lavorate artigianalmente per mantenere la tradizionale consistenza ruvida.
La stroncatura è ormai un piatto identitario della Calabria meridionale, soprattutto nella zona della Costa Viola e della Piana di Gioia Tauro. Nei ristoranti tipici e nelle sagre estive, viene celebrata come simbolo di una terra che non dimentica il proprio passato, ma lo trasforma in orgoglio.
Come si cucina la stroncatura?
La versione più autentica è anche la più semplice:
olio extravergine d’oliva, aglio, peperoncino e mollica di pane tostato. Qualcuno aggiunge acciughe, olive nere o pomodorini secchi. Ma l’essenza resta la stessa: valorizzare l’anima “scura” e tenace della pasta con ingredienti poveri ma intensi.
Un piatto che “parla calabrese”, che scotta, che profuma di ulivi e di mare, che lascia un sapore deciso e indimenticabile.
La stroncatura è l’emblema di una cucina che non spreca, che resiste, che trasforma il poco in bellezza. È il piatto che insegna il valore della semplicità, ma anche quello della memoria. È un invito a rallentare, a mangiare con consapevolezza, a riconoscere l’anima delle cose.
In un mondo che spesso dimentica le sue radici, la stroncatura è una lezione di autenticità. Un piatto antico che oggi torna a essere moderno. E che, al primo assaggio, racconta tutta la forza gentile del Sud.