Omertà e pentiti, la 'malattia del silenzio' nella Calabria profonda
Se l’omertà è il muro del silenzio, i pentiti sono coloro che osano abbatterlo. Ma la loro figura è tutt’altro che unanime.

In Calabria, l’omertà non è solo un termine associato alla criminalità organizzata: è un atteggiamento culturale, un codice non scritto che per generazioni ha governato i rapporti tra le persone. Questa cultura del silenzio ha radici profonde, alimentata dalla paura, dalla sfiducia nelle istituzioni e, spesso, dalla connivenza con il potere criminale. Ma cosa spinge una comunità intera a non parlare, a distogliere lo sguardo anche di fronte alle peggiori atrocità? È davvero una scelta o un destino ineluttabile?
Pentiti: eroi o traditori?
Se l’omertà è il muro del silenzio, i pentiti sono coloro che osano abbatterlo. Ma la loro figura è tutt’altro che unanime. In Calabria, i collaboratori di giustizia sono spesso visti come traditori, anche da chi potrebbe beneficiare delle loro rivelazioni. Da un lato, la loro decisione di collaborare con lo Stato rappresenta un atto di coraggio; dall’altro, molti li accusano di agire per interesse personale, in cerca di vantaggi legali o protezione. La domanda è: è possibile spezzare il cerchio dell’omertà senza affidarsi ai pentiti? E quale prezzo deve pagare una società per accettare le loro testimonianze?
La Calabria e la mafia, una relazione intricata
La 'ndrangheta, la più potente organizzazione criminale d’Europa, è radicata nella struttura sociale calabrese. Essa si nutre proprio dell’omertà, della paura e dell’isolamento. Ma quanto di questa “malattia” è frutto di un sistema imposto dalla mafia e quanto è dovuto a una scelta culturale? I dati dimostrano che in molte aree della Calabria il tasso di denunce rimane drammaticamente basso, anche di fronte a reati palesi come estorsioni o minacce. Questo silenzio collettivo è una forma di sopravvivenza o una colpa condivisa?
Le storie dietro il silenzio
Dietro ogni caso di omertà c’è una storia personale. C’è chi ha visto un familiare assassinato e ha scelto di tacere per paura di ritorsioni, chi ha subito un’estorsione ma ha preferito pagare piuttosto che rischiare la propria vita o quella dei suoi cari. Ogni silenzio è un compromesso, un peso che si accumula generazione dopo generazione. Ma è giusto che le vittime diventino complici involontari di un sistema che li opprime? I pentiti rappresentano una delle poche speranze concrete per combattere l’omertà. Le loro testimonianze hanno portato alla luce crimini orrendi, permettendo alle forze dell’ordine di smantellare intere cosche. Ma il prezzo che pagano è altissimo: l’isolamento, il rischio per la loro vita e per quella delle loro famiglie, la perdita della propria identità. Sono davvero considerati “eroi”? O il loro contributo è troppo spesso sottovalutato da una società che li accoglie con sospetto?
Il ruolo dello Stato
Il fallimento dello Stato nel garantire sicurezza e giustizia ha alimentato il fenomeno dell’omertà. Se denunciare significa esporsi a pericoli senza avere la certezza di protezione, il silenzio diventa l’unica opzione razionale. Lo Stato può spezzare questo ciclo investendo in programmi di protezione dei testimoni, rafforzando la presenza delle forze dell’ordine e garantendo pene severe per chi minaccia o esercita vendette. Ma sta facendo abbastanza? O è ancora lontano dal guadagnare la fiducia delle comunità più colpite?
Le nuove generazioni sono una speranza per il futuro?
C’è una luce in fondo al tunnel? Le nuove generazioni sembrano essere meno disposte a tollerare il peso dell’omertà. L’educazione, l’accesso all’informazione e i social media stanno rompendo il muro del silenzio, dando voce a chi prima era messo a tacere. Ma basterà questo a cambiare una cultura radicata da secoli? O la mafia troverà nuovi modi per imporre il suo potere La Calabria si trova di fronte a un bivio: continuare a essere schiava del silenzio o abbracciare una nuova era di trasparenza e coraggio. L’omertà non è solo una questione di paura, ma anche di scelte collettive. Ogni voce che si alza contro la mafia è un passo verso una società più libera e giusta. La domanda è: quanti saranno disposti a fare questo passo? E quanto tempo ci vorrà prima che la Calabria si liberi della sua “malattia comune”?