Giuseppe Matina
Giuseppe Matina

La faida di Stefanaconi ha avuto inizio nel settembre del 2011 con l’omicidio di Michele Fiorillo, agricoltore di Piscopio ucciso per controversie sui confini di proprietà terriera. Pochi giorni dopo, fu assassinato anche il boss Fortunato Patania, capo della ‘ndrina di Stefanaconi, mentre giocava a carte presso la sua stazione di servizio. Questi due delitti segnarono l’avvio di uno scontro violento tra il clan emergente dei Piscopisani e la storica famiglia dei Patania, che si contendevano il potere nella Valle del Mesima e nella zona di Vibo Valentia.

Una guerra feroce in meno di un anno

Tra dicembre 2011 e giugno 2012 si registrarono una serie di agguati mirati: le vittime furono principalmente legate al clan dei Piscopisani. Uomini come Giuseppe Matina, Francesco Scrugli, Raffaele Moscato, Rosario Battaglia, Francesco Calafati e Francesco Meddis vennero o uccisi o gravemente feriti. L’ultimo omicidio accertato fu quello di Davide Fortuna, assassinato sulla spiaggia di Vibo Marina in presenza della moglie e dei figli piccoli.

Tentativi di pace traditi

Nel tentativo di interrompere la ferocia, la ‘ndrina Bonavota intervenne come mediazione: figure come Domenico Bonavota e Domenico Cugliari cercarono di promuovere una tregua tra le famiglie. Tuttavia, anche il boss Pantaleone Mancuso – formalmente neutrale – avrebbe in realtà incoraggiato la fazione Patania. Gli sforzi per la pace fallirono e la violenza continuò a scorrere.

Blitz e condanne: il processo “Gringia”

Le indagini delle forze dell’ordine culminarono nell’operazione "Gringia", che vide l’arresto di 18 membri dei Patania accusati di omicidio, tentato omicidio e associazione mafiosa. In parallelo, furono arrestati anche i principali esponenti dei Piscopisani, come Rosario Fiorillo, Rosario Battaglia e Raffaele Moscato, considerati mandanti ed esecutori dell’uccisione di Fortunato Patania. Il processo portò infine a sette condanne all’ergastolo, tra cui quella della vedova Giuseppina Iacopetta e dei suoi figli.

Un territorio violento e simbolico

Stefanaconi, definita negli anni “la Corleone calabrese”, rappresentava più di un campo di battaglia: era teatro di manifestazioni religiose come "l’Affruntata" che i Patania usavano per misurare il loro potere sociale. In quell’era, controllare il territorio significava anche dettare legge sulle tradizioni popolari e religiose.

Eredità e impatto sociale

La faida di Stefanaconi è diventata un simbolo delle nuove generazioni criminali che sfidavano l’egemonia dei vecchi clan. Il conflitto ha inflitto ferite profonde alla società locale, confermando la presenza di una violenza strutturata e reciproca, dominata da logiche di potere e vendetta. Solo dopo anni, operazioni come Rinascita‑Scott hanno aperto la strada a una parziale riaffermazione della legalità nei territori vibonese.