Acqua
Acqua

La Calabria, una regione ricca di bacini idrici e potenzialità per la produzione di energia idroelettrica, vive una realtà paradossale: da un lato, una delle maggiori multiutility italiane, A2A S.p.A., controlla i principali invasi lacustri silani; dall'altro, una gestione inefficiente delle risorse idriche ha generato negli anni sprechi, irrigazioni insufficienti e proteste da parte del settore agricolo. La storia della privatizzazione dell'acqua calabrese affonda le sue radici nel 1969, quando una convenzione affidò ai privati la gestione dei bacini della Sila, fondamentali per il funzionamento delle centrali idroelettriche e per l'approvvigionamento idrico della regione. Attualmente, la gestione è nelle mani di A2A, una multinazionale con sede a Milano, che detiene la concessione fino al 2029. In teoria, l'acqua dei laghi silani appartiene alla Regione Calabria; in pratica, è A2A a decidere come e quando rilasciare le risorse idriche.

L'intesa tra Regione e A2A

Questa situazione ha causato non pochi problemi: la destinazione prioritaria dell'acqua alla produzione di energia idroelettrica ha penalizzato l'agricoltura locale, generando proteste e richieste di revisione dell'accordo. Nel 2021, un'intesa tra Regione Calabria e A2A ha previsto il rilascio di volumi idrici aggiuntivi per l'irrigazione del Crotonese, ma con un paradosso: per ogni quantità d'acqua rilasciata per l'uso agricolo, la Regione deve corrispondere un indennizzo ad A2A, come compensazione per il mancato guadagno energetico. Un accordo che di fatto mantiene il controllo dell'acqua nelle mani della multinazionale, invece di restituirlo ai cittadini e ai produttori locali. Il problema della gestione idrica calabrese non si limita alla privatizzazione, ma si estende alla mancata valorizzazione delle infrastrutture esistenti. Su 26 dighe presenti in Calabria, ben 10 non sono operative, principalmente a causa della mancanza di opere di canalizzazione per distribuire l'acqua. Un caso emblematico è quello della diga sul fiume Metramo, completata nel 1993 con una capacità di 30 milioni di metri cubi d'acqua, ma mai entrata in funzione. Dopo decenni di abbandono, nel 2018 è stato annunciato un investimento di 26 milioni di euro per renderla operativa, ma a oggi il progetto resta incompiuto. Lo stesso destino accomuna altre opere, costruite con fondi pubblici ma lasciate in uno stato di inefficienza cronica.

La diga della Menta

La diga del Menta, invece, rappresenta una delle poche eccezioni positive: destinata a fornire acqua potabile alla città metropolitana di Reggio Calabria, è oggetto di un progetto da 29 milioni di euro finanziato dal PNRR per la realizzazione di una centrale idroelettrica. Se portato a termine, il progetto produrrà circa 30.000 MWh di energia pulita all'anno, sufficienti a soddisfare il fabbisogno energetico di un centro urbano di media grandezza.
La gestione dell'acqua in Calabria solleva questioni cruciali che richiedono una soluzione immediata. Da un lato, la necessità di rivedere l'accordo con A2A per riportare sotto controllo pubblico una risorsa essenziale; dall'altro, l'urgenza di investire nelle infrastrutture per evitare sprechi e garantire un uso equo delle risorse idriche. Mentre A2A annuncia investimenti da oltre 300 milioni di euro nel settore idroelettrico e dell'economia circolare, la Regione Calabria continua a erogare fondi insufficienti per la gestione e la manutenzione delle proprie dighe. Il risultato è un sistema che favorisce le multinazionali a discapito della popolazione e dell'economia locale. Per uscire da questa impasse, è necessario un cambio di rotta: la politica deve assumersi la responsabilità di rivedere le concessioni, incentivare la produzione energetica locale e garantire che l'acqua, bene pubblico essenziale, sia gestita nell'interesse della collettività e non solo del profitto privato.