Ogni giorno, in redazione, arriverebbero storie che non farebbero rumore. Storie piccole solo in apparenza. Imprenditori, commercianti, artigiani. Gente che si sarebbe fatta le ossa sul campo, a testa bassa, senza scorciatoie. E che oggi si troverebbe in ginocchio. Vessata, ignorata, spesso derisa da un sistema che parlerebbe il linguaggio della finanza e mai quello della dignità.

Succederebbe ovunque, certo. Ma in Calabria, questa storia assumerebbe contorni ancora più amari. Perché qui, al Sud, fare impresa sarebbe già un atto eroico. In un territorio martoriato da infrastrutture inesistenti, burocrazia soffocante, credito difficile, clientele perenni e isolamento strutturale, indebitarsi sarebbe spesso l’unica mossa rimasta. Non per ingordigia, ma per sopravvivere. Per salvare un laboratorio, un’officina, una piccola azienda a conduzione familiare. Da lì, comincerebbe la discesa.

Cos’è la cartolarizzazione? Una trappola legale

La cartolarizzazione non sarebbe un’invenzione criminale, ma un meccanismo legale. Le banche, quando deciderebbero che un credito è “non performante”, lo venderebbero. Spesso a fondi esteri, società veicolo, soggetti che avrebbero un solo obiettivo: spremere il massimo da quel credito acquistato a un decimo del valore.

In Calabria – ma non solo – questo vorrebbe dire che un imprenditore che avesse ricevuto 100.000 euro, e ne avesse già restituiti 70.000, si ritroverebbe inseguito da chi ha comprato il suo debito a 3.000 euro... ma pretenderebbe ancora 30.000. E con interessi, spese, penali, cifre gonfiate da interpretazioni creative dei contratti.

Recupero crediti o caccia al disperato?

Ci si chiederebbe: il recupero crediti non dovrebbe essere regolato, umano, equo? Sì, sulla carta. Ma nella realtà, le segnalazioni che arriverebbero parlerebbero di ben altro. Telefonate minacciose, messaggi ossessivi, visite non autorizzate. In alcuni casi, ci sarebbe chi agirebbe ai margini della legalità. Con il debitore che non saprebbe più distinguere tra una società regolare e un’esazione da film anni ’70.

E nel mezzo, l’imprenditore calabrese. Che avrebbe investito tutto. Che avrebbe assunto, pagato, innovato. E che ora si ritroverebbe a dover difendere sé stesso, la sua azienda e la sua reputazione, contro soggetti invisibili, ma potentissimi.

Il paradosso dei finanziamenti

A monte ci sarebbero i finanziamenti. Che dovrebbero rappresentare una mano tesa. Invece, sembrerebbero spesso un cappio. Firmati in fretta, mal spiegati, con condizioni poco chiare e tassi impliciti che esploderebbero al primo ritardo. E una volta scivolati nel ritardo, non ci sarebbe più dialogo. Solo automatismi. Solo numeri.

In Calabria, dove le banche avrebbero già chiuso numerose filiali e i piccoli imprenditori faticherebbero anche solo a parlare con un direttore, non ci sarebbe spazio per la mediazione. Solo per la cartolarizzazione. Solo per la resa.

Lo Stato? Spettatore, o complice silenzioso?

A questo punto, la domanda sarebbe inevitabile: lo Stato sarebbe davvero all’oscuro? Possibile che nessuno sappia come funzionano questi meccanismi? Che non esistano controlli? Che nessuno noti quante aziende calabresi stiano chiudendo, quante famiglie stiano cadendo nel silenzio, schiacciate da debiti irragionevoli?

Oppure, verrebbe da pensare, lo Stato avrebbe deciso di non disturbare. Di lasciare che le leggi del mercato finanziario prendano il sopravvento. Anche quando queste leggi finirebbero per schiacciare chi, con il sudore e non con le speculazioni, aveva costruito qualcosa.

In Calabria, si direbbe che il confine tra legalità e sopraffazione sia sempre troppo labile. E chi dovrebbe tutelare il cittadino – lo Stato, le istituzioni, i garanti – sembrerebbe sempre un passo indietro. O peggio, girato dall’altra parte.

E intanto, le cartolarizzazioni continuerebbero a moltiplicarsi. I debiti verrebbero venduti come carne da banco. Le aziende chiuderebbero nel silenzio. E gli imprenditori, quelli veri, quelli che non volevano diventare milionari ma semplicemente lavorare, continuerebbero a cadere. Uno dopo l’altro.

E se qualcuno chiedesse: com’è possibile tutto questo? La risposta, purtroppo, sarebbe sempre la stessa: “Perché nessuno fa davvero finta di non sapere. Ma molti fanno davvero finta di non vedere”.