“Navi dei veleni” nei fondali calabresi: il mare come discarica criminale
Tra navi affondate, rifiuti tossici e depistaggi: la drammatica storia sommersa della Calabria

Sin dagli anni Settanta circa trenta imbarcazioni, note come “navi a perdere”, sarebbero state affondate nel Mediterraneo con carichi di rifiuti pericolosi, chimici o radioattivi. La Calabria, in particolare la costa tirrenica (Amantea, Cetraro), è tra le aree maggiormente coinvolte, con almeno cinque navi affondati confermati da pentiti del crimine organizzato.
Testimonianze e misteri legati alla ‘ndrangheta
Le rivelazioni del pentito Francesco Fonti descrivono una rete collusiva che coinvolgeva la ‘ndrangheta e perfino servizi segreti deviati: dopo aver ricevuto il carico da società e compagnie navali, le navi venivano affondate, simulando naufragi o smantellamenti fasulli. Fonti indicava nomi come “Cunski”, affondata al largo di Cetraro con fusti radioattivi, e la Jolly Rosso, arenatasi ad Amantea, spesso citata come simbolo del fenomeno.
Indagini ufficiali e ostacoli istituzionali
Nel 1995 il capitano Natale De Grazia, della Capitaneria di Porto di Reggio Calabria, coordinò indagini su relitti sospetti, incluso il cargo Rigel. Morì in circostanze oscure poco dopo, attivando teorie su depistaggi e silenzi di Stato. Le indagini istituzionali furono chiuse, lasciando irrisolti molti punti oscuri e senza bonifiche reali.
Quante “navi dei veleni” nel Mediterraneo?
Fonti, commissioni parlamentari e associazioni ambientaliste stimano tra 55 e 90 imbarcazioni affondate nel Mediterraneo tra il 1979 e il 1995. In Italia, più di venti navi sommersero i fondali calabresi, dove giacciono ancora i loro carichi tossici. Ad oggi non esiste una mappatura completa o un piano di bonifica attuato.
Un rischio ambientale ancora attuale
Gli inquinanti riversati sui fondali, tra cui metalli pesanti e scorie chimiche o radioattive, rappresentano un pericolo duraturo per la salute e gli ecosistemi marini. Ambientalisti, indagini parlamentari e richieste dal M5S hanno invocato una mappatura geochimica dei fondali e analisi sul pescato, senza però risposte concrete o interventi di ripristino.
Memoria e necessità di verità
La vicenda delle navi dei veleni è una ferita aperta: si intreccia con la storia dell’ecomafia, con la morte sospetta di chi indagava e con la paura istituzionale di fare luce. Oggi più che mai è necessario portare alla luce la verità, mappare i relitti e bonificare, perché il mare calabrese non resti il cimitero silenzioso di veleni pericolosi.