La rivolta dei migranti a Rosarno
La rivolta dei migranti a Rosarno

All’inizio di gennaio 2010, a Rosarno, un gruppo di braccianti africani — principalmente impegnati nella raccolta agrumicola — venne colpito da colpi di carabina ad aria compressa sparati da ignoti. L’episodio innescò immediata tensione in una comunità già segnata da miseria, sfruttamento e condizioni di lavoro degradanti, che molti descrivono come vicine alla “schiavitù moderna”.

La rivolta esplode per le strade

Dal 7 al 9 gennaio, centinaia di migranti scesero in strada per manifestare, danneggiando auto, cassonetti e vetrine. Le forze dell’ordine intervennero per ripristinare l’ordine, ma gli scontri si fecero sempre più violenti: furono contate oltre cinquanta persone ferite, tra migranti, residenti e agenti di polizia. Secondo alcune testimonianze, furono sparati proiettili veri e cariche da parte di gruppi di italiani che cavalcarono la tensione, trasformando la protesta in rivolta urbana.

Ritorsioni, caccia all’immigrato e trasferimenti forzati

Dopo i disordini, elementi locali, tra cui presunti membri delle cosche mafiose, organizzarono ronde contro i migranti, utilizzando mazze, spranghe e persino veicoli per investirli. Questi atti violenti vennero segnalati come una sorta di “pulizia” etnica, che spinse le autorità a trasferire centinaia di lavoratori in centri di accoglienza esterni. Il gesto suscitò critiche e dissenso, anche da parte della comunità internazionale.

Il ruolo della ‘ndrangheta e delle istituzioni

In seguito emerse il sospetto che alcune famiglie mafiose locali, come i Bellocco e i Pesce, avessero interesse a fomentare il caos per consolidare il controllo sui braccianti e indurre una reazione popolare favorevole alla loro egemonia. Le indagini coordinate dalla magistratura e le analisi delle modalità della rivolta suggerirono che la revoca delle tensioni avrebbe avvantaggiato questi gruppi nell’ambito del caporalato.

Le riforme e il lascito civile

L’eco mediatica della rivolta portò a una mobilitazione più ampia: la stampa internazionale denunciò le condizioni inumane e l’assenza di politiche strutturali per l’integrazione. Furono avviate iniziative per migliorare i diritti dei lavoratori stagionali, contrastare il caporalato e bonificare l’abitato informale di San Ferdinando. La vicenda contribuì inoltre a sollevare un dibattito nazionale sulla dignità del lavoro agricolo.

Memoria e sfide ancora aperte

A distanza di anni, la rivolta di Rosarno è simbolo delle contraddizioni del Meridione: tra una politica dell’emergenza che non sempre risolve le cause strutturali e la resilienza di comunità migranti, tentate dalla disperazione ma capaci di farsi sentire. L’evento resta monito: senza trasformazioni sistemiche, povertà, razzismo e potere mafioso possono ancora alimentare violenza e divisione.