Vigneti Cirò
Vigneti Cirò

Fin dall’antichità 

Il vino Cirò è stato profondamente legato alle tradizioni e ai miti del Mediterraneo. La sua storia prende forma nell’VIII secolo a.C., quando i coloni greci, attratti dalla straordinaria fertilità delle terre calabresi, si stabilirono lungo la costa ionica e fondarono la città di Krimisa. Secondo la leggenda, l’eroe Filottete consacrò nel santuario di Apollo Aleo le frecce ricevute in dono da Eracle, rafforzando il legame tra questa terra e la tradizione vitivinicola. Il nome "Krimisa" sembrerebbe derivare da Cremissa, un’antica colonia greca che ospitava un tempio dedicato a Bacco, dio del vino.

 Il "Krimisa".

Considerato l’antenato dell’attuale Cirò, godeva di una fama straordinaria nell’antichità ed era noto come il "vino ufficiale" delle Olimpiadi. Rinomatissimo anche per le sue presunte virtù curative, il Cirò veniva descritto come un tonico energizzante, ideale per recuperare le forze dopo una malattia prolungata, e come un elisir capace di rivitalizzare anche nella vecchiaia.

Affascinati dalla fertilità di queste terre.

 i coloni greci soprannominarono la regione "Enotria", ovvero "terra delle viti alte". Questo termine, inizialmente riferito alla Calabria, si estese poi all’intera penisola italiana. Per i Greci, un terreno coltivato a vite aveva un valore economico di gran lunga superiore a quello destinato ai cereali. Ancora oggi, vitigni come il Gaglioppo, il Mantonico e il Greco Bianco sono considerati diretti discendenti delle uve introdotte dagli ellenici. Le città di Crotone e Sibari, situate lungo la costa ionica, divennero centri nevralgici per la produzione del "Krimisa". Questo vino veniva offerto agli atleti vittoriosi delle Olimpiadi, rappresentando una delle prime forme di sponsorizzazione nella storia. Si narra che Milone di Crotone, il celebre atleta vincitore di sei Olimpiadi, fosse un grande estimatore di questo vino. La tradizione è stata rivitalizzata ai Giochi Olimpici del 1968 a Città del Messico, quando il Cirò fu scelto come vino ufficiale, consolidando il suo prestigio su scala internazionale.

Alcuni racconti storici suggeriscono che

Nell’antica Sibari, furono costruiti veri e propri "enodotti", tubazioni in terracotta progettate per trasportare il vino direttamente dalle colline al porto, semplificando così le operazioni di carico e trasporto. Questo ingegnoso sistema sottolinea l’importanza economica e culturale che il vino rivestiva in quell’epoca.

Oggi. 

Il Cirò continua a essere riconosciuto come una delle eccellenze della viticoltura calabrese, ma il suo ruolo nel panorama enologico internazionale non riflette pienamente la grandezza della sua storia e delle sue origini mitiche. Nonostante venga esportato e apprezzato per le sue qualità uniche, il Cirò occupa un posto marginale rispetto ad altri vini che, pur vantando minore tradizione o qualità, godono di maggiore visibilità e prestigio.

Considerando il peso storico del Cirò.

Simbolo di una cultura millenaria che lo vide protagonista delle Olimpiadi e delle leggende dell’antica Grecia, sarebbe giusto che questo vino trovasse un piedistallo più alto nell’immaginario collettivo e nei mercati internazionali. L’eco della sua fama, che in passato risuonava nei templi di Apollo e tra gli atleti di Olimpia, oggi dovrebbe essere rilanciata con determinazione, collocando il Cirò al livello dei vini più celebrati.

Il Cirò non è solo un prodotto del territorio, ma un autentico custode della memoria e del sapere enologico dell’antichità.

 È quindi auspicabile che istituzioni, produttori e appassionati uniscano le forze per riportare il Cirò al rango che gli spetta, valorizzandolo come simbolo della Calabria e della sua straordinaria eredità culturale. Farlo sarebbe non solo un tributo alla sua storia, ma anche un atto di giustizia verso un vino che merita un riconoscimento ben maggiore rispetto a quello che occupa oggi.