L’ultimo referendum conferma un trend allarmante, quello che in Calabria solo il 23,81% degli aventi diritto si è recato alle urne. Ma non è un episodio isolato: è il sintomo di una rottura profonda tra cittadini e politica.

La Calabria ha votato, ancora una volta, in pochi, poco più di due persone su dieci si sono recate ai seggi per esprimere la propria opinione su temi referendari di interesse nazionale. In provincia di Catanzaro, l’affluenza ha raggiunto il 28,6%, mentre a Crotone ci si è fermati a un modesto 19%. Cosenza e Reggio Calabria si sono posizionate a metà, senza slanci né cadute, come in una partecipazione automatica, priva di convinzione.

Ma quel numero – 23,81% – dice molto più di quel che sembra, è il riflesso di una stanchezza che non è solo elettorale, ma culturale. Di una distanza che non è solo fisica tra l’elettore e la cabina, ma emotiva, mentale, esistenziale. È la fotografia di una regione che, lentamente, sta perdendo fiducia nel meccanismo democratico.

Dalla sfiducia alla rinuncia: il silenzio degli elettori

In Calabria, l’astensionismo ha radici antiche. Negli anni si è stratificato su una serie di disillusioni: amministrazioni locali fragili, scandali politici, promesse elettorali disattese, lentezza nei processi decisionali e percezione di impotenza cronica. Per molti calabresi, il voto non è più uno strumento di partecipazione, ma un rito svuotato di senso. Le elezioni – che siano comunali, regionali, parlamentari o referendarie – vengono vissute con crescente apatia.

A pesare è anche la debolezza del dibattito pubblico. I partiti locali faticano a rinnovarsi, spesso si basano su logiche clientelari o personalistiche. Le campagne elettorali si riducono a slogan ripetuti, più che a visioni chiare per il futuro. E il cittadino, lasciato senza interlocutori credibili, preferisce il silenzio alla scheda. “Tanto non cambia nulla”, si sente dire con frequenza crescente, da giovani e anziani, disoccupati e imprenditori, professionisti e studenti.

Il problema non è solo politico, è anche mediatico e sociale. La mancanza di informazione indipendente e capillare, il disinteresse di molte amministrazioni per il coinvolgimento dei cittadini e l’assenza di luoghi di dialogo reale – come assemblee, incontri pubblici, spazi civici – rendono la partecipazione sempre più una scelta isolata, individuale, anziché una pratica collettiva.

Ritessere il legame tra cittadini e istituzioni: una sfida per il futuro

Eppure, la disaffezione non è necessariamente irreversibile. È un segnale – forte, chiaro – che la politica deve ascoltare. In Calabria esistono energie sociali vive: reti associative, comitati civici, giovani impegnati nel sociale, amministratori locali che, spesso in silenzio, lavorano con onestà. Ma queste realtà non bastano, se non vengono sostenute da una strategia chiara e coraggiosa di ricostruzione democratica.

Serve più trasparenza nella gestione della cosa pubblica. Serve una comunicazione politica meno gridata e più concreta. Serve che i partiti tornino a essere strumenti di rappresentanza, e non macchine di potere. Ma soprattutto serve dare voce alle periferie, fisiche e simboliche, della regione. Le comunità montane, i piccoli centri, le aree interne: lì, più che altrove, il rischio di frattura è estremo.

E allora il voto tornerà ad avere senso solo se sarà preceduto da ascolto. Se sarà accompagnato da scelte visibili. Se le istituzioni saranno capaci di farsi prossime, presenti, autorevoli ma anche umane. La sfida non è portare la gente alle urne a ogni costo, ma costruire le condizioni perché senta il bisogno – e il diritto – di esserci.

Una Calabria che vuole contare, ma non sa come

La Calabria, spesso raccontata solo attraverso il filtro della marginalità e della criminalità, è anche una terra che cerca riscatto. Ma per farlo ha bisogno di sentirsi parte delle decisioni, e non spettatrice. Le urne vuote non sono indifferenza: sono una forma di protesta silenziosa. Un “no” alla politica che non ascolta, che non cambia, che non costruisce.

Recuperare la fiducia sarà un cammino lungo. Ma è un cammino necessario, perché senza partecipazione non c’è cittadinanza. E senza cittadinanza, nessuna democrazia può dirsi compiuta. La Calabria ha bisogno di futuro, ma prima ancora ha bisogno di credere che quel futuro passi, anche, dal proprio voto.