Il fatto è avvenuto il 22 maggio scorso, ma continua a sollevare interrogativi profondi. Un militare dell’Esercito ha aggredito violentemente un vicino di casa a Corigliano-Rossano al culmine di una lite per motivi di vicinato. La discussione è rapidamente degenerata, fino a sfociare in un’aggressione fisica che ha causato ferite tali da richiedere il ricovero ospedaliero della vittima, fortunatamente non in pericolo di vita.

Ma il punto più inquietante della vicenda emerge solo in un secondo momento: il militare, fermato poco dopo a Cosenza, è stato trovato in possesso di una pistola calibro 7.65 con matricola abrasa, nascosta all’interno della sua auto. Una seconda arma è stata scoperta nella sua abitazione, portando all’arresto immediato con l’ipotesi di detenzione abusiva di armi.

Un militare armato e fuori controllo: la sicurezza è davvero garantita?

L’episodio riapre un dibattito scomodo ma necessario: fino a che punto possiamo sentirci sicuri nel sapere che persone che detengono armi per ragioni di servizio possano poi usarle, o comunque gestirle, al di fuori di ogni controllo? Non si tratta di criminalizzare le forze armate, ma di porre l’accento su una questione che riguarda la formazione, la salute mentale e i protocolli di vigilanza su chi è autorizzato a maneggiare strumenti di morte. Nel caso specifico, come è possibile che un militare detenesse armi con matricola abrasa, di cui una nascosta in auto? Chi dovrebbe vigilare? Quali controlli psicologici e disciplinari vengono effettuati regolarmente sul personale in servizio attivo? E soprattutto: che posizione ha assunto l’Esercito su questa vicenda? Finora, nessuna nota ufficiale è stata diffusa: perché un silenzio così assordante davanti a un fatto tanto grave?

Una riflessione che non può restare sulla carta

L’aggressione di Corigliano-Rossano non è solo un episodio di cronaca nera. È un campanello d’allarme. Non basta addestrare all’uso delle armi: bisogna garantire che chi le maneggia sia sempre in condizioni di equilibrio psicologico e che l’accesso agli strumenti letali sia rigidamente monitorato anche al di fuori del servizio.

In attesa che le indagini chiariscano l’intera dinamica e le responsabilità penali, una cosa è certa: le armi non sono mai neutre, e affidarle a persone sbagliate — o non più in grado di gestirle — può trasformare un conflitto banale in una tragedia annunciata. La sicurezza di tutti passa anche da qui.