Omicidio del primario Pandolfo: 20 marzo 1993, la Calabria perde un professionista
Una morte che segna la posta in gioco tra sanità e criminalità organizzata
Il dottor Domenico Nicolò Pandolfo, noto come Nicola, era primario di Neurochirurgia agli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria e consulente presso il presidio ospedaliero di Locri. A soli 51 anni, con una carriera brillante e una reputazione di professionalità e dedizione, ha pagato con la vita la propria missione. È stato colpito il 20 marzo 1993 in pieno giorno, nella tarda mattinata, mentre si trovava nei pressi dell’ingresso dell’ospedale di Locri. È stato raggiunto da sette colpi di pistola calibro 7,65, sparati da sicari che hanno agito con rapidità e determinazione.
Le circostanze dell’agguato
L’agguato ha avuto luogo in un contesto apparentemente protetto: era mattina, l’ospedale era attivo, eppure il medico è stato colpito nei pressi della struttura in un momento in cui usciva da una visita o stava per rientrare a Reggio Calabria. Le cronache dell’epoca indicano che Nicola Pandolfo aveva appena concluso il proprio giro di consulenze e stava per rientrare. Il fatto che l’agguato sia avvenuto in un parcheggio ospedaliero ben visibile ha reso subito chiaro che non si trattava di un episodio casuale.
Il movente: errore medico o vendetta mafiosa?
La pista delle indagini ha puntato su un movente che riflette la complessità del contesto calabrese: il medico era stato responsabile dell’intervento su una bambina, figlia di un boss della cosca Cordì, malata di tumore al cervello e deceduta dopo l’operazione. Secondo le ipotesi investigative, la cosca avrebbe commissionato l’omicidio del dottor Pandolfo come vendetta per il mancato “miracolo”. Il sospetto è stato formalizzato con il fermo del presunto mandante, ma la mancanza di testimonianze e l’omertà generalizzata hanno impedito la definizione giudiziaria completa del caso.
Conseguenze e memoria
Malgrado la gravità del delitto e il profilo della vittima, il caso si è arenato: l’archiviazione per insufficienza di prove è stata adottata pochi anni dopo. Le associazioni antimafia riconoscono il fatto come omicidio di mafia e la vittima come “vittima innocente”, ma lo Stato non ha ancora riconosciuto ufficialmente questo status. Il ricordo del medico continua a essere alimentato da colleghi, studenti e familiari, che evocano la sua figura anche in eventi di riflessione sul rapporto tra sanità e criminalità.
Perché il caso è emblema della Calabria
La morte del dottor Pandolfo rappresenta più di un tragico episodio: è un simbolo della condizione in cui si trovano professionisti, cittadini e istituzioni nel territorio calabrese. Un medico impegnato a salvare vite viene ucciso per aver esercitato il proprio mestiere, mentre il sistema della giustizia e della sicurezza non riesce a dare risposte efficaci. È una ferita che parla di legalità negata, di comunità esposta e di un ambiente in cui l’azione professionale può diventare bersaglio. Il ricordo di Nicola Pandolfo serve a richiamare un impegno che vada oltre la commemorazione: per una sanità libera dal condizionamento mafioso, per una Calabria che non consegni alla rassegnazione vittime come lui.