Nicola Soverino
Nicola Soverino

La sera del 28 settembre 1991 nella frazione reggina di Villa San Giuseppe si consumò un agguato che si portò via la vita di due professionisti: l’ingegnere Demetrio Quattrone, 42 anni, e il medico omeopata 30enne Nicola Soverino. Nonostante l’obiettivo prefissato fosse solo Quattrone, Soverino cadde vittima «per errore». Secondo le indagini, i sicari scambiarono la sua barba folta e la sua posizione nell’auto per quelle del vero bersaglio e spararono al medico, che era al volante della vettura dell’amico ingegnere.

Le vittime e il contesto della ’ndrangheta

L’ingegnere Quattrone era noto per il suo ruolo di ispettore del Ministero del Lavoro, coinvolto in perizie sensibili nel settore edilizio e in azioni contro le infiltrazioni mafiose nella zona di Gioia Tauro. Seguendo questa pista, l’agguato assunse una valenza tipica delle guerre interne tra clan della ’ndrangheta e delle azioni contro chi si poneva come ostacolo. Nicola Soverino, pur privo di ruolo pubblico in questa lotta, finì tragicamente per essere vittima attraverso un tragico errore d’identificazione.

Le conseguenze e la memoria del delitto

Nonostante siano passati decenni dal duplice omicidio, la verità piena sugli esecutori e sui mandanti dell’agguato non è ancora emersa completamente. Il caso è spesso citato tra i “cold-case” della lotta alla ’ndrangheta in Calabria, simbolo della pericolosità di un ambiente in cui professionisti e cittadini pagano con la vita l’impegno o semplicemente la sfortuna di trovarsi al posto sbagliato al momento sbagliato.

Perché non dimenticare

Il sacrificio di Nicola Soverino offre una riflessione intensa sul tema della protezione dei testimoni e della responsabilità civile di uno Stato che deve garantire sicurezza e giustizia. Anche se non era in prima linea nella denuncia pubblica, la sua morte rivela quanto la cultura dell’omertà e la presenza mafiosa condizionino ancora oggi la vita della Calabria. Ricordare ogni vittima significa mantenere vivo il desiderio di verità e porre le condizioni affinché tragedie simili non si ripetano.

In definitiva, il caso di Nicola Soverino è una ferita che attraversa la storia della regione: non solo come dato cronachistico, ma come monito di una battaglia che resta aperta. Il dovere della memoria è anche impegno verso un futuro in cui ogni professionista e ogni cittadino possano vivere nel diritto, nella sicurezza e nella giustizia.