Il villaggio popolare di Intavolata e la casa del "re del pesce": una storia di omertà e dimenticanze
Quando si parla di 'ndrangheta, il nome di Franco Muto emerge come una delle figure più note e discusse della criminalità organizzata calabrese
Negli anni '60, nel piccolo borgo di Intavolata, affacciato sulla costa tirrenica cosentina, venne costruito un villaggio di alloggi popolari. Era un’epoca difficile, segnata da una profonda crisi economica e sociale, in cui possedere una casa rappresentava un sogno per molte famiglie. La povertà, i prezzi proibitivi del mattone e le poche opportunità lavorative rendevano la situazione insostenibile per intere generazioni. In questo contesto, il progetto degli alloggi popolari rappresentava una speranza, un’opportunità per chi non poteva permettersi altro. Tra i beneficiari di questa iniziativa c’era un giovane di circa trent’anni, Francesco Muto, che lavorava onestamente come pittore. Oggi noto come il “re del pesce” e figura di spicco della ‘ndrangheta, negli anni '60 Muto era un semplice operaio che cercava di guadagnarsi da vivere. Le istituzioni, riconoscendone lo stato di necessità, gli assegnarono una casa popolare nel villaggio di Intavolata.
Dal pittore onesto al boss della ‘ndrangheta
La vita di Francesco Muto prese una piega diversa negli anni successivi. Il giovane pittore si trasformò in uno dei boss più potenti e influenti della criminalità organizzata calabrese, costruendo un impero criminale che gli avrebbe garantito ricchezze immense e un controllo quasi assoluto sul territorio del Tirreno cosentino. Ma ciò che sorprende è che, nonostante questa metamorfosi, la casa popolare assegnata a Muto negli anni '60 è rimasta formalmente intestata a lui.
La casa popolare usata dalla famiglia Muto
Secondo fonti attendibili raccolte sul territorio, l’abitazione di Intavolata non è mai stata revocata né requisita dalle istituzioni. Anzi, risulta ancora oggi occupata da un membro della famiglia di Francesco Muto, presumibilmente sua figlia. Un dato che lascia sgomenti e solleva interrogativi sull’efficienza e sull’etica delle istituzioni preposte alla gestione del patrimonio pubblico.Possibile che, dopo decenni di attività criminale conclamata e di condanne definitive, nessuna autorità abbia mai preso in considerazione l’idea di revocare l’assegnazione della casa popolare a un boss mafioso? Questo episodio è emblematico di una gestione delle risorse pubbliche che, in certi casi, sembra ignorare la necessità di coerenza e giustizia.
Una storia di omertà e dimenticanze
Il caso della casa popolare di Francesco Muto è un esempio lampante di come il sistema possa rivelarsi inefficace di fronte alle storture della realtà. Mentre molte famiglie vivono in condizioni di disagio abitativo e attendono per anni un alloggio popolare, un immobile assegnato negli anni '60 a un giovane pittore onesto è ancora nella disponibilità della sua famiglia, nonostante il suo protagonista sia diventato un simbolo della criminalità organizzata.È una storia che fa riflettere, non solo sulla capacità dello Stato di intervenire in situazioni così palesemente incongruenti, ma anche sull’incapacità di affermare un principio fondamentale: chi si arricchisce attraverso il crimine non può continuare a godere dei benefici dello Stato.
Quando si parla di 'Ndrangheta, il nome di Franco Muto emerge come una delle figure più note e discusse della criminalità organizzata calabrese. Originario di Cetraro, piccolo centro sulla costa tirrenica cosentina, Muto ha costruito un impero criminale che gli è valso il soprannome di "Re del Pesce". La sua carriera, segnata da condanne, latitanze e sorprendenti assoluzioni, è una storia complessa che ora si arricchisce di un nuovo capitolo: a 83 anni, Muto è tornato in carcere per scontare una condanna per associazione mafiosa.
Dalla costa tirrenica al controllo del territorio
La parabola criminale di Franco Muto ha inizio nel cuore del Tirreno cosentino. Partendo dalla gestione del traffico ittico, riuscì a consolidare il proprio potere economico e criminale, utilizzando il commercio del pesce come copertura per attività illecite. La sua abilità nel gestire i traffici e nell'estendere i suoi interessi lo rese una figura chiave nella 'Ndrangheta locale, fino a esercitare un controllo quasi totale sulla costa.
Le condanne nei processi chiave
Franco Muto è stato coinvolto in numerose inchieste e processi che hanno segnato la sua carriera criminale. Tra i più significativi ci sono il processo "Cartesio", che ha portato alla luce i legami tra il suo clan e il traffico internazionale di stupefacenti, e il processo "Frontiera", che ha svelato il controllo esercitato dal clan su attività economiche e appalti pubblici nella costa tirrenica. A ciò si aggiunge il processo "Omnia", che ha confermato la gestione mafiosa di un ampio giro di affari illeciti, e il processo "Katarion", centrato sul traffico di rifiuti. Proprio quest'ultimo ha rivelato il coinvolgimento di Muto in uno dei settori più oscuri e redditizi delle attività criminali, dimostrando come il clan fosse implicato nella gestione illegale di rifiuti tossici e speciali, un tema che ha suscitato allarme sociale e ambientale.
L'assoluzione da latitante e il ritorno in carcere
Tra gli episodi più curiosi che hanno segnato la vita giudiziaria di Franco Muto, rimane celebre la sua assoluzione in un caso mentre era latitante, con la motivazione che "il fatto non sussisteva". Questo episodio, che destò scalpore mediatico e alimentò polemiche sull'efficienza del sistema giudiziario, non ha però impedito che il boss venisse poi condannato in via definitiva per altri crimini. Oggi, a 83 anni, Franco Muto si trova di nuovo dietro le sbarre per scontare una condanna per associazione mafiosa, sancita nel processo "Frontiera", che lo ha visto riconosciuto come uno dei capi storici della 'ndrangheta calabrese.
Dal "re del pesce" al traffico di rifiuti
Non solo droga, estorsioni e controllo economico: Franco Muto è stato anche associato al traffico di rifiuti, un settore in cui la 'ndrangheta ha trovato una delle sue maggiori fonti di guadagno. Il suo coinvolgimento in questo ambito ha mostrato quanto il clan fosse radicato in attività illecite capaci di danneggiare non solo il tessuto economico, ma anche l'ambiente e la salute pubblica.
La fine di un'era?
Franco Muto rappresenta uno dei simboli di una criminalità organizzata che ha saputo sfruttare il territorio per arricchirsi e consolidare il potere. Oggi, però, la sua figura si staglia in un panorama cambiato, in cui l'azione della giustizia e delle forze dell'ordine sta erodendo il potere della 'ndrangheta, anche se la strada da percorrere è ancora lunga. A 83 anni, Franco Muto torna in carcere, chiudendo un cerchio che si è aperto decenni fa lungo le coste tirreniche. Un boss che, tra condanne e controversie, resta una figura emblematica di un'epoca e di una struttura criminale che ha segnato profondamente la Calabria e l'Italia intera.
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