Venditori ambulanti stranieri
Venditori ambulanti stranieri

Con l’arrivo dell’estate, Corso Mazzini, cuore pulsante di Cosenza,  si trasforma in un salotto all’aperto. I ristoratori sistemano tavoli e sedie lungo il corso, turisti e residenti affollano i locali, l’atmosfera è vivace e rilassata. Ma a far parte ormai del paesaggio urbano estivo c’è anche un’altra presenza costante, ovvero,  quella dei venditori ambulanti, in gran parte stranieri, che girano tra i tavoli offrendo oggetti di ogni tipo, dai fiori alle calze, dai libri agli accendini.

Una presenza silenziosa ma significativa

Quella dei venditori ambulanti stranieri è una scena che si ripete ogni sera, e che non riguarda solo Cosenza, ma molte città italiane. Tuttavia, lungo Corso Mazzini la loro presenza diventa particolarmente visibile, integrandosi a volte in modo discreto, altre volte più insistente nel contesto cittadino. Non si tratta solo di un fatto urbano, ma di un indicatore sociale: dietro ogni borsa piena di merce, c’è una storia fatta di migrazione, speranza, sacrifici e  troppo spesso di precarietà.

Una domanda aperta sul sistema di accoglienza

La loro presenza dovrebbe spingerci a porci domande. Chi sono queste persone? Come vivono? Perché, una volta arrivati in Italia, restano intrappolati in un circuito di marginalità economica e invisibilità civile? Il problema non è solo l’ambulantato, ma il fallimento parziale di un sistema che fatica a integrare davvero chi arriva. I venditori non hanno spazi legali per lavorare, spesso nemmeno titoli per farlo, eppure rappresentano una componente umana reale, quotidiana e sempre più visibile.

Tra regole, diritti e convivenza possibile

Il tema tocca molti aspetti: il decoro urbano, la legalità, la sicurezza, ma anche la dignità del lavoro e i percorsi di integrazione. Reprimere o tollerare non sono le uniche opzioni. Dovrà arrivare prima o poi il tempo di costruire alternative concrete, percorsi formativi, inserimento lavorativo, regole chiare e valide per tutti. Perché dietro ogni fiore offerto a un tavolino d’estate c’è una persona. E perché la città se vuole davvero essere civile e moderna – deve saper includere, senza chiudere gli occhi.