Riti
Riti

In Calabria, i confini tra religione, magia e superstizione sono sottili, spesso indistinguibili. È una terra dove il sacro convive con l’occulto, e dove i riti arcaici sopravvivono sotto forma di tradizioni popolari ancora oggi vive, soprattutto nei piccoli centri e nelle aree interne. In questa realtà sospesa, convivono santi e spiriti, madonne miracolose e malocchi, formule tramandate a voce e pratiche rituali che affondano le radici nella notte dei tempi.

In molte zone della Calabria, soprattutto nell’entroterra, è ancora viva la tradizione del culto delle anime dei defunti. Si tratta di un rapporto quotidiano e familiare con i morti, visti non come presenze inquietanti, ma come figure protettive. Le tombe vengono curate come altari domestici, e in alcuni paesi si lasciano ancora cibo, acqua o oggetti “necessari” per accompagnare le anime nel loro viaggio.

Durante la notte tra l’1 e il 2 novembre, molte famiglie usano ancora apparecchiare la tavola per i parenti defunti. È una forma di rispetto ma anche di protezione, per evitare che le anime tornino a "disturbare" i vivi.

Le janare: tra streghe e guaritrici

Le "janare" sono figure femminili che in alcuni racconti popolari calabresi assumono i contorni della strega, in altri quelli della guaritrice. Conoscono le erbe, i rituali, i segreti della natura. La loro figura è ambigua: temuta, rispettata, ma anche cercata nei momenti di bisogno.

In alcune zone si dice che potessero trasformarsi in animali notturni, entrare nelle case sotto forma di vento o spirito e provocare incubi, malesseri, persino sventure. Ma al tempo stesso erano le stesse donne cui ci si rivolgeva per curare mali “che la medicina non capiva”.

Il malocchio: tra credenza e protezione

Il “malocchio” è uno dei fenomeni più diffusi della superstizione calabrese, e non solo. È la convinzione che una persona possa lanciare, anche inconsapevolmente, un influsso negativo su un’altra – spesso per invidia o rancore.

La diagnosi di malocchio avviene con rituali semplici ma ricchi di simboli: acqua, olio, preghiere sussurrate, segni della croce. Le “contrasanti” o “fattucchiere” (quasi sempre donne anziane) conoscono la formula giusta per rivelarlo e, eventualmente, scioglierlo. Questi rituali si tramandano solo in determinati giorni dell’anno, spesso durante la notte di Natale o dell’Epifania.

Le “prefiche” erano donne chiamate a piangere i morti nei riti funebri tradizionali. Non solo piangevano, ma recitavano veri e propri canti lamentosi, a volte improvvisati, altre volte tramandati, nei quali si esprimeva il dolore collettivo per la perdita. Il loro pianto rituale aveva una funzione catartica: esprimeva il lutto al posto della famiglia, accompagnava l’anima del defunto e rafforzava il senso di comunità.

Anche se la figura della prefica è ormai scomparsa nella pratica quotidiana, la sua memoria resta viva nelle testimonianze orali e in alcuni riti commemorativi.

Una fede antica che sa di terra

In Calabria, la religione popolare non è mai stata solo dogma o dottrina, ma un insieme di pratiche legate alla terra, ai cicli della natura, ai ritmi della vita contadina. I santi non sono solo figure celesti, ma presenze familiari, “vicine di casa” che proteggono campi, greggi, case. Le statue vengono portate in processione tra le vie dei paesi come esseri viventi, e il sacro convive con l’invocazione di forze invisibili.

La magia in Calabria non è solo un ricordo del passato. È un sistema di pensiero che continua ad abitare i gesti quotidiani, le parole dette sottovoce, i silenzi carichi di significato. È la traccia profonda di una cultura che, pur cambiando, non dimentica ciò che l’ha plasmata.