Omicidio del carabiniere Pietro Ragno, un giovane servitore dello Stato caduto per errore nelle maglie della ’ndrangheta
Il 10 luglio 1988, un agguato a Gioia Tauro spezza la vita di un militare di 28 anni
Pietro Ragno, originario di Messina, aveva 28 anni ed era in servizio da circa tre presso la Compagnia dei Carabinieri di Gioia Tauro. Sposato e padre di una bimba di appena undici mesi, aveva cenato presto con la moglie e stava per rientrare in caserma, dopo un turno notturno insieme al commilitone Giuseppe Spera. Era la notte tra il 9 e 10 luglio 1988 quando, nei pressi dello svincolo di Losarno sulla Statale 111 che collega il versante tirrenico all’Aspromonte, l’auto su cui viaggiava è stata oggetto di un violento agguato da parte della criminalità organizzata.
L’agguato e la verità dietro l’attacco
I sicari, nascosti tra i cespugli, hanno aperto il fuoco con fucili calibro 12 caricati a pallettoni, colpendo ripetutamente il veicolo dei carabinieri. Ragno, alla guida, ha tentato invano di reagire, estraendo la pistola ma morendo prima di poterla usare. Il collega Spera si è salvato solo perché si era chinato sull’apparecchio radio per segnalare l’agguato. L’attentato è stato attribuito alla ’ndrangheta operante nella Piana di Gioia Tauro, con l’obiettivo esplicito di colpire le Istituzioni e seminare terrore nel territorio.
Una vittima che rappresenta una battaglia civile
L’omicidio di Pietro Ragno non è soltanto la tragedia di una vita spezzata, ma simbolo di un’aggressione allo Stato e ai principi della legalità. A distanza di decenni, la sua memoria viene evocata nelle scuole, nelle cerimonie delle Forze dell’Ordine e negli eventi di sensibilizzazione contro la criminalità organizzata, in Calabria e oltre. Il suo nome figura tra le vittime innocenti della ’ndrangheta, ricordato come esempio di servizio, sacrificio e responsabilità sociale.
Memoria attiva per un futuro senza omertà
Ricordare Pietro Ragno significa non solo onorare un giovane che ha dato la vita per la comunità, ma rafforzare la vigilanza e la partecipazione civile contro chi, con la violenza, vuole minare le basi dello Stato e della convivenza. Il suo sacrificio ci richiama all’impegno quotidiano per una Calabria libera da paure e condizionamenti, dove la memoria diventi motore di giustizia e cambiamento.