Chiesa

Abbiamo provato a fare una cosa apparentemente semplice, quasi banale.
Contare. Mettere in fila numeri ufficiali, dati pubblici, statistiche ecclesiastiche. E poi fermarci a osservare cosa raccontano davvero, al di là delle parole di circostanza, delle omelie domenicali, delle note brevi che, dal mondo della Chiesa, arrivano spesso solo quando il clamore è già diventato ingestibile.
Il punto di partenza è una vicenda che, nei giorni scorsi, avrebbe attraversato la provincia di Catanzaro come una voce insistente, mai ufficiale, ma difficile da ignorare. Una storia che, secondo chi la racconta, avrebbe i contorni del tragicomico, se non fosse per il carico umano che porta con sé. Un prete. Una donna sposata. Un marito tradito. Una comunità che mormora.
Una vicenda che nessuno racconta apertamente, ma che in molti sembrerebbero conoscere.
E allora la domanda non è soltanto che cosa sarebbe accaduto.
La domanda vera, quella che rimbalza sui social, nei bar, nelle conversazioni a bassa voce, è un’altra:
chi sarà mai il prete?
Fatti, limiti e responsabilità: ciò che non si può e non si deve fare
È necessario chiarirlo subito, senza ambiguità.
Non è nostra intenzione esporre famiglie, né coinvolgere persone private che nulla hanno a che fare con l’interesse pubblico. La donna, il marito, eventuali figli vanno tutelati senza esitazioni. Non sono loro il tema. Non lo sono mai stati.
Qui non si fa gossip.
Qui si fa informazione.
E l’informazione, quando è fatta bene, distingue.
Ed è proprio per questo che il nome del sacerdote non viene riportato, né verrà indicato in assenza di comunicazioni ufficiali. Ma resta un punto che non può essere ignorato: il ruolo pubblico del prete. Perché un sacerdote non è un cittadino qualunque. È una figura investita di una funzione morale, educativa, simbolica. E quando emergono voci insistenti, circostanziate, diffuse su un territorio, è legittimo interrogarsi non sulla vita privata, ma su come un sistema reagisce. O non reagisce.
I numeri: quanti preti ci sono davvero nella provincia di Catanzaro
Per capire se un caso possa restare isolato o perdersi in una massa indistinta, abbiamo analizzato dati ufficiali, pubblici, verificabili.
La Arcidiocesi di Catanzaro-Squillace, che copre gran parte della provincia di Catanzaro, conta:
circa 122 parrocchie
circa 130 sacerdoti complessivi, tra preti diocesani e religiosi
25 diaconi permanenti
Numeri che, rapportati alla popolazione residente, non sono affatto marginali. Anzi, sono numeri importanti. Numeri che rendono oggettivamente difficile per il cittadino medio farsi un’idea chiara di chi sia chi, di dove operi, di quale sia il suo percorso.
In altre parole: i preti sono tanti.
Tanti nei centri urbani, tanti nei piccoli comuni, tanti nelle frazioni.
E proprio questa abbondanza rende il “chi sarà mai il prete?” una domanda destinata a restare sospesa.


Il silenzio che protegge: quando tutto resta dentro


Ed è qui che entra in gioco un elemento ricorrente, che molti cittadini sottolineano con una certa amarezza: dal mondo della Chiesa trapela pochissimo, quasi nulla.
Quando emergono voci, racconti, indiscrezioni che circolano da una parrocchia all’altra, il meccanismo sembrerebbe sempre lo stesso. Nessuna conferma. Nessuna smentita. Nessuna presa di posizione pubblica.
Il sacerdote, se davvero coinvolto, resterebbe protetto da un silenzio istituzionale che non è ammissione di colpa, ma non è nemmeno trasparenza.
E questo silenzio, paradossalmente, alimenta le domande invece di spegnerle. Perché quando tutto tace, la percezione esterna è che il sistema si difenda molto bene. Forse troppo bene.
Il ruolo atteso del sacerdote: ciò che dovrebbe accadere, non ciò che accadrebbe
Ed è a questo punto che emerge una domanda che non riguarda il pettegolezzo, ma la logica interna del ruolo sacerdotale. Perché se anche tutto restasse nel campo delle ipotesi, se anche si parlasse soltanto di una vicenda “presunta”, il nodo sarebbe comunque questo: un sacerdote, per come la Chiesa stessa lo definisce, non dovrebbe essere chiamato a porre un argine invece che ad attraversarlo?
Secondo l’insegnamento ecclesiale, il prete dovrebbe essere colui che ascolta senza appropriarsi, che accompagna senza confondersi, che guida senza scivolare. Dovrebbe essere una barriera morale, non una porta aperta.
Dovrebbe aiutare a riportare le fragilità dentro un percorso di responsabilità, non trasformarle in un corto circuito.
Se davvero una donna si fosse invaghita, se davvero avesse cercato conforto, ascolto, complicità, il sacerdote – sempre secondo la dottrina e la disciplina della Chiesa – dovrebbe aver letto quel sentimento come un segnale da gestire con distanza, prudenza, fermezza. Dovrebbe, persino, essere la persona che dice “no” prima di chiunque altro. Non per giudizio, ma per tutela. Della donna, della famiglia, della comunità. E anche di se stesso.
Perché la Chiesa non chiede soltanto di evitare lo scandalo. Chiede di evitare la confusione. E la confusione, quando nasce da chi ha una funzione di guida spirituale, pesa il doppio.
È questo che rende la vicenda, se confermata, ancora più disturbante sul piano simbolico. Perché non sarebbe soltanto una “storia”, ma lo scarto netto tra ciò che un sacerdote predica e ciò che, eventualmente, avrebbe fatto.
Invece di essere colui che orienta, sarebbe diventato colui che si lascia trascinare. Invece di custodire un confine, lo avrebbe dissolto.
E la critica, qui, non è moralistica. È pragmatica. Perché quando una figura pubblica, investita di un’autorità morale, entra in un territorio così intimo e vulnerabile, la domanda diventa inevitabile: non sarebbe stato proprio lui, per primo, a dover evitare ogni gesto, ogni contatto, ogni scivolamento che potesse alimentare l’equivoco?
Secondo l’impostazione ecclesiale, non dovrebbe nemmeno arrivare a “pensarlo” come possibilità. Perché la regola non scritta, prima ancora di quella scritta, è questa: evitare che l’ambiguità diventi abitudine, che la confidenza diventi confusione, che la fragilità altrui diventi occasione.

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La provincia come teatro: tutti sanno, nessuno dice


In una provincia come Catanzaro, dove le relazioni sono strette e i confini tra pubblico e privato spesso sfumano, le voci viaggiano più veloci delle comunicazioni ufficiali.
C’è chi dice di aver visto.
Chi dice di aver sentito.
Chi giura che “è successo davvero”.
E chi, con amarezza, commenta: “Tanto non lo sapremo mai”.
Ed è proprio questa sensazione di impunità informativa che irrita i cittadini. Non per sete di scandalo, ma per una questione di equità. Perché tutto deve restare sempre dentro?
Una storia tragicomica solo in apparenza
Qualcuno la definisce una storia quasi grottesca, degna di una commedia all’italiana. Ma dietro l’ironia c’è una frattura reale. Famiglie che si spezzano. Comunità che mormorano. Fedeli che si sentono traditi non solo sul piano umano, ma simbolico.
Perché il sacerdote non rappresenta solo se stesso. Rappresenta un’istituzione che chiede coerenza, sacrificio, esempio.
Chi sarà mai il prete? Una domanda che resta sospesa
Ed eccoci al punto che più di tutti accende il dibattito.
Chi sarà mai il prete?
Non lo sappiamo. E forse non lo sapremo mai.
Ma quello che sappiamo è che i numeri raccontano un sistema vasto, articolato, poco leggibile dall’esterno. Un sistema che, quando emergono situazioni scomode, tende a chiudersi, a proteggere, a rimandare.
E questa dinamica, nel tempo, logora la fiducia.
Il silenzio non cancella le domande
Questa non è un’inchiesta contro la Chiesa.
È un’inchiesta sul rapporto tra trasparenza e potere morale.
Perché quando un’istituzione fonda la propria autorità sull’etica, il silenzio diventa un problema, non una soluzione. I cittadini non chiedono nomi per curiosità. Chiedono chiarezza per rispetto.
Rispetto verso chi crede davvero.
Verso chi vive la fede con coerenza.
Verso chi non vuole che ogni vicenda venga sepolta sotto una coltre di non detto.
I numeri dei preti nel Catanzarese sono tanti. Proprio per questo, ogni storia rischia di perdersi in un indistinto che protegge tutti e non risponde a nessuno.
Ma una cosa è certa: le domande non si cancellano col silenzio. E finché resteranno sospese, continueranno a fare rumore.