Legnochimica di Rende, eredità tossica e bonifica ancora nel limbo
Ex stabilimento di pannelli in fibra di legno trasformato in bomba ambientale. Processi lenti, inchieste inconcludenti e comunità in attesa da decenni

La vicenda della Legnochimica di Rende rappresenta una cruciale contraddizione: da simbolo di progresso industriale a focolaio ecologico aperto, con morti sospette e una bonifica mancata. Tra processi dilazionati, conflitti peritali, vendite speculative e promesse non mantenute, la gestione del sito appare come una ferita aperta per la Calabria, dove giustizia ambientale e tutela della salute restano obiettivi lontani.
Dalla produzione industriale alla catastrofe ambientale
La Legnochimica approdò a Rende alla fine degli anni Sessanta, come symbolo di sviluppo ma presto divenne luogo di inquinamento nocivo. La produzione di pannelli in fibra di legno generava residui industriali scaricati in bacini non impermeabilizzati, contaminando le falde acquifere e il terreno circostante con metalli pesanti e sostanze chimiche, con episodi di autocombustione che provocarono inquietanti fumi tossici.
Una bonifica promessa e mai realizzata
Nonostante il sito sia stato sequestrato più volte dalla Procura, la bonifica attesa rimane un obiettivo disatteso. Perizie discordanti hanno portato ad alcun lavori concreti: da una parte Arpacal sostiene che i livelli degli agenti contaminanti siano entro i limiti, dall’altra periti indipendenti denunciano concentrazioni di metalli pesanti fino a cento volte superiori alle soglie consentite.
Morti sospette: tumori nell’area di Rende
Tra il 2009 e il 2016, nei pressi degli accumuli residui della Legnochimica, si registrarono numerosi decessi per tumori alle parti molli: circa venti vittime in pochi anni. L’assenza di un registro tumori in Calabria ha reso impossibile legare con certezza i casi all’inquinamento, ma i dati restano estremamente preoccupanti.
Processi infiniti e responsabilità negate
Il principale imputato è l’ex liquidatore della società, accusato di disastro ambientale e omessa bonifica. Processi iniziati nel 2009 e ripetuti nel 2016 si sono conclusi con condanne esigue e risarcimenti limitati, mentre l’intervento regionale rimane in stallo e i terreni continuano a generare fumi e incendi periodici,
Terreno conteso: vendita e occupazione senza salute
Nonostante la bonifica manchi ancora, vaste aree sono state vendute o cedute ad altre aziende per realizzare capannoni e impianti a biomasse e rifiuti. Tali operazioni avrebbero fruttato decine di milioni alla proprietà, senza che però venissero finanziati interventi di riqualificazione ambientale.
Il silenzio della politica e l’allarme delle associazioni
Le amministrazioni locali si dichiarano prive di risorse per procedere alla bonifica, pur avendo sollecitato interventi regionali. Comitati di cittadini e associazioni ambientali denunciano il vuoto di responsabilità ed evidenziano un’emergenza sanitaria che rimane sospesa, mentre il sito continua a pesare sulla comunità .