Clan Piromalli: l'impero silenzioso della ‘ndrangheta su Gioia Tauro e oltre
Dalle origini rurali al controllo del porto, passando per traffici internazionali e intrighi istituzionali: la saga di un clan che ha trasformarto la mafia in un’impresa globale

Il clan Piromalli, originario di Gioia Tauro, affonda le sue radici nei primi decenni del Novecento come semplice consorteria rurale, finché non si trasformò in un vero e proprio polo strategico della ‘ndrangheta calabrese. Sotto la guida di Girolamo “Don Mommo” Piromalli, nel corso degli anni Sessanta e Settanta la famiglia si impose saldamente nel tessuto socioeconomico locale, trovando alleati nei De Stefano e in altri clan storici, formando un potere ben consolidato nel territorio. La costruzione del Porto di Gioia Tauro rappresentò il punto di svolta, trasformando l’azienda mafiosa in un'organizzazione capace di contrattare subappalti e estorcere da aziende internazionali.
Un’organizzazione imprenditoriale
Fin da quel momento la vocazione criminale dei Piromalli andò ben oltre il controllo territoriale. L’accresciuto potere economico permise alla cosca di infiltrarsi nei settori degli appalti pubblici, del traffico merci e del narcotraffico internazionale, sfruttando l’hub del Porto di Gioia Tauro. Le operazioni di contrasto come “Rent”, “Waterfront”, “Vulcano” e molte altre, hanno fatto emergere un sistema capillare di società compiacenti, intrecci tra clan e istituzioni, e fondi investiti anche all’estero in Italia e nei mercati internazionali.
Famiglia, latitanza e resilienza
A cavallo tra anni Ottanta e Novanta, il timone passò a Giuseppe Piromalli, fratello di Don Mommo, che continuò l’espansione criminale e l’infiltrazione nei settori imprenditoriali. Nonostante la latitanza e l’arresto, Giuseppe e i suoi successori come Antonio Piromalli – arrestato nel 2008 – mantennero il controllo del clan, confermando una capacità di adattamento sorprendente e una gestione familiare che si regge su reti precise e gerarchiche.
L’infiltrazione nel tessuto istituzionale
Una caratteristica distintiva dei Piromalli è stata la loro abilità nel permeare settori del potere formale. Attraverso la creazione della Santa, la loggia segreta della ‘ndrangheta, e grazie ai contatti massonici e politici, la cosca costruì solidi rapporti con livelli istituzionali, influenzando appalti, nomine e persino elezioni locali. Il consiglio comunale di Gioia Tauro fu sciolto per infiltrazione mafiosa nel 1993, e inchieste successive hanno confermato il controllo esteso dell’organizzazione su lavoratori portuali, società di logistica e imprese collegate alle istituzioni.
Narcotraffico e affari globali
Il Porto di Gioia Tauro non ha mai smesso di rappresentare la fonte primaria del loro potere criminale. I sequestri di droga – anche migliaia di chili in un solo blitz – testimoniano la forza del clan nel traffico internazionale, collusioni anche con criminalità oltreoceano e operazioni in Sud America ed Europa. Accanto al settore degli stupefacenti, le operazioni economiche legate al riciclaggio di denaro e a società di comodo hanno permesso alla famiglia di drenare miliardi e reimpiegarli in settori legittimi come l’edilizia e l'agricoltura.
Un avversario che resiste allo Stato
Nonostante le operazioni di contrasto e le decine di arresti, la centralità della cosca Piromalli nel sistema criminale calabrese ancora perdura. Oggi il clan è percepito come un pilastro della cosiddetta ’ndrangheta imprenditoriale, capace di nuove intuizioni strategiche, di sopravvivere a duri colpi giudiziari e di mantenere strutture solide in Italia e all’estero. Lo Stato continua la sua battaglia, consapevole che il contrasto non passi solo attraverso arresti e sequestri, ma richieda una strategia continua per isolare e disarticolare una struttura criminale tanto violenta quanto sofisticata.