I moti di Reggio Calabria: quando il Sud reclamò identità e dignità
La rivolta scoppiò dopo la scelta di Catanzaro come capoluogo regionale: nove mesi di proteste, violenze e tensioni tra popolo e istituzioni

Nel luglio 1970, l’annuncio del governo che designava Catanzaro, e non Reggio Calabria, come capoluogo di regione scatenò una rivolta popolare. Era la prima occasione elettorale regionale, e l’esclusione di Reggio venne interpretata come un’ingiustizia storica nei confronti di una città con antiche aspirazioni amministrative.
L’escalation della protesta: dalle barricate ai carri armati
La protesta esplose con scioperi, manifestazioni e blocchi stradali e ferroviari a partire dal 14 luglio 1970. La risposta delle autorità fu immediata e pesante: polizia, carabinieri e persino l’esercito intervennero in città. I moti raggiunsero l’apice nella "cinque giorni" di luglio, con cariche violente, morti e feriti.
Violenza e tensioni: una popolazione in rivolta
Con barricate ovunque e manifestanti ben organizzati, la rivolta degenerò. Vennero assaltate sedi politiche, si contarono sei vittime civili, centinaia di feriti e migliaia di arresti. Bombe esplodendo rallentarono anche il traffico ferroviario. Reggio divenne una città sotto assedio.
Il ruolo dei partiti e dei "comitati d’azione"
La rivolta fu articolata: vi parteciparono forze neofasciste, partiti di sinistra e gruppi di estrema sinistra. I comitati d’azione cittadino, guidati anche da esponenti del Msi, coordinarono manifestazioni e scioperi. Sindacati e politici di sinistra intervennero più avanti per arginare la protesta.
La repressione e il compromesso: la fine dei moti
Solo nel febbraio 1971, dopo l’intervento dell’esercito e con le istituzioni sature, la rivolta si concluse. Il cosiddetto "pacchetto Colombo" offrì compensazioni: la ripartizione delle sedi istituzionali e alcuni investimenti locali.
Un’eredità controversa
I Moti di Reggio Calabria rappresentano una pagina tumultuosa della storia repubblicana: tra rivendicazione identitaria, violenza politica e strumentalizzazioni esterne. Oggi restano un monito e una sfida per la politica meridionale: riflettere su giustizia, sviluppo e partecipazione democratica senza cadere in facili epiloghi populisti.